E’ difficile raccontare la trama del film. Succede a volte nelle selezioni dei festival che una pellicola lasci gli spettatori interdetti. Qui c’è un gioco di incastri, con tante storie non lineari che si intersecano e scambiano i personaggi tra loro. Di certo è un qualcosa che rompe tutti gli schemi di un cinema tradizionale. Il regista canadese Guy Maddin (sessant’anni e una filmografia sterminata tra corti e lungometraggi di finzione, oltre ad una intensa attività di creatore di installazioni tridimensionali) usa uno stile tutto suo, in cui mescola effetti visuali e sonori tipici del cinema muto o dei primi anni del sonoro, in particolare del cinema espressionista tedesco e di quello sovietico d’avanguardia, con effetti più moderni. Gli spezzoni realizzati vengono accatastati l’uno sull’altro senza un’apparente logica: un sottomarino in cui i marinai sono intrappolati da mesi, boschi pieni di banditi, un treno dell’epoca dell’Orient Express, giardini tropicali, vulcani, pazzi ingabbiati, chirurghi che assemblano e disassemblano i polifratturati. E’ una sfida al pubblico (dura due ore) e al buon senso. Nel 2015 The Forbidden Room ha messo insieme una decina di partecipazioni a festival internazionali (Berlino, Sundance, Hong Kong, Amsterdam, Istanbul…) raccogliendo ovunque consensi ed elogi inaspettati. Non i miei: l’ho trovato faticoso da vedere fino ai titoli di coda forse perché non mi sono lasciato trasportare dalle citazioni cinefile. A parte qualche sorriso iniziale non ho apprezzato il gioco demenziale di Maddin. Vi hanno preso parte decine di attori, tra i quali Mathieu Amalric, Géraldine Chaplin, Jean-François Stévenin, Marta de Medeiros, Charlotte Rampling, Roy Dupuis sono i più conosciuti. Temo che non avrà una distribuzione nelle sale italiane, è un prodotto da festival e per cinéphiles incalliti.
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