Ho letto “Lettera al mio giudice” di Georges Simenon

Nessuno avrebbe mai pensato che un giorno sarei diventato quel che si chiama un delinquente. In altre parole, si può dire che io sia un delinquente occasionale.
E’ la lunga, accorata, sincera lettera che un uomo invia al giudice che lo ha condannato, dopo che durante il processo ha in un certo senso rinunciato a difendersi. Racconta invece come sono andate effettivamente le cose con questa missiva, senza cercare giustificazioni, semplicemente per parlare della propria esistenza. E’ Charles Alavoine, un medico di un paesino di campagna, di estrazione contadina. Non sappiamo quale delitto abbia commesso. Possiamo intuire che ha ucciso qualcuno ma non sappiamo chi. Nella lunga lettera al giudice ripercorre i fatti salienti della propria vita, l’infanzia grama, il padre ubriacone, gli studi senza entusiasmo, i primi amori, la professione, una moglie che presto lo lascia vedovo con due bambini, un secondo matrimonio contratto non si sa perché con Armande una donna che non ama ma che prende a cuore la crescita dei suoi figli.
Non le dirò che quelli che bevono sono i migliori, ma le dirò che se non altro hanno intravisto qualcosa, qualcosa che non potevano raggiungere, qualcosa che desideravano tanto da star male.
E’ sempre Charles che scrive al giudice Ernest Comélieu. Dimenticavo, il paese in cui ha vissuto è La Roche-sur-Yon, nella Vandea, regione della Loira, non lontano dall’Atlantico.
Conosce La Roche-sur-Yon, anche solo per esserci passato? Non è un città vera, di quelle che in Francia chiamiamo così. Napoleone l’ha creata da zero per motivi strategici e quindi le manca l’impronta che le altre città francesi ricevono dal lento apporto dei secoli, dalle vestigia di tante generazioni.
Dunque in un non-luogo come questo è assai probabile che si sviluppi un’esistenza grigia come quella di Charles, tanto più se porta con sé le tare psichiche del padre. Durante il suo secondo matrimonio incontra Martine, una ragazza alla deriva e se ne innamora perdutamente. Così racconta:
Era magra, e a me le magre non piacciono; era bruna bruna, e io preferisco le bionde. Pareva la copertina di un rotocalco, ecco.
Per pagine e pagine si rivolge al giudice come a un confidente, raccontando cose che in un’aula di tribunale non ha avuto il coraggio di dire eppure c’è ancora qualcosa che lo limita, gli aspetti più pruriginosi della sua vicenda.
Certi particolari, signor giudice, glieli rivelerei volentieri se ci trovassimo a tu per tu… Per iscritto farei la figura di chi si compiace di evocare immagini più o meno erotiche.
Ma Charles Alavoine chi ha ucciso? Bisogna attendere le ultime pagine per saperlo. Da come scrive non mostra alcun pentimento, anzi vuole proprio arrivare a dimostrare che era giocoforza farlo.
Simenon tiene sotto scacco il lettore per duecento pagine, la tensione non diminuisce mai, anzi si accumula e viene voglia di ribellarsi all’orrendo finale che si prospetta negli ultimi capitoli. Addio, signor giudice.
Lettre à mon juge è stato scritto negli Stati Uniti e pubblicato nel 1947. Come tantissimi lavori di Simenon è diventato un film. Nel 1952 il regista Henri Verneuil ne ha tratto Il frutto proibito, in cui il medico Charles è curiosamente interpretato da un attore brillante come Fernandel.

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