Ho visto “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo” di Jay Roach

Non voglio archiviare questo film, a mio parere uscito dal circuito delle sale troppo presto, senza averne scritto. L’ultima parola porta al cinema un’altra pagina della storia americana, quella del maccartismo e della caccia alle streghe di cui furono vittime tanti intellettuali accusati di essere comunisti. Tra questi lo sceneggiatore Dalton Trumbo e tanti altri attori, registi e scrittori che finirono nella lista nera di Hollywood. In pratica dovettero smettere di lavorare e alcuni di loro emigrarono all’estero. Erano i tempi della guerra fredda, tra il 1947 e la fine degli anni ’50. E’ interessante vedere chi erano i divi del grande schermo più accaniti contro i loro colleghi. Fra questi era John Wayne, all’epoca presidente di un’associazione conservatrice per la salvaguardia degli ideali americani, che nel film ha un ruolo determinante insieme alla giornalista gossipara Hedda Hopper, molto influente nel mondo della produzione. Dalton Trumbo fu comunista da subito anche lavorando per Warner Bros, Columbia, MGM, RKO e sempre schierato in favore dei diritti civili. L’ultima parola lo segue dai fasti della sua professione (viveva con la moglie e i tre figli in una villa hollywoodiana) al declino per essere finito nella lista nera dei dieci che si erano rifiutati di rispondere al Congresso. Di seguito la prigione, la perdita della casa e del lavoro. Molti altri, come Edward G. Robinson, scelsero invece di collaborare con la commissione d’inchiesta e continuarono a lavorare. Uscito di galera, Trumbo continuò a scrivere in maniera forsennata, producendo sceneggiature su sceneggiature, per pochi soldi e sotto falso nome.
Fino all’Oscar per il soggetto di Vacanze Romane (1954) attribuito a tal Ian McLellan Hunter, che aveva contribuito solo in piccola parte alla scrittura della sceneggiatura ma che ci aveva messo il nome. Paradossalmente proprio Gregory Peck era uno dei più accaniti anticomunisti. Un altro Oscar gli arrivò nel 1956 per la sceneggiatura di The Brave One (La più grande corrida) sotto lo pseudonimo di Robert Rich. L’ipotesi che dietro i due premi ci fosse la sua mano animò ancor più i suoi detrattori che cercarono di fare ulteriore terra bruciata attorno a Trumbo. La svolta arrivò invece quasi in contemporanea da Kirk Douglas che gli affidò la scrittura di Spartacus (1960) per la regia di Kubrick e da Otto Preminger che gli chiese di sviluppare la sceneggiatura del romanzo di Leon Uris Exodus. Entrambi i film uscirono con il nome di Dalton Trumbo tra i credits e questo sancì di fatto la fine della ‘lista nera’.
Jay Roach nel suo film ci racconta tutto questo ma sviluppa soprattutto la figura di Trumbo nell’ambito familiare. Una famiglia che gli è stata di decisivo supporto nelle difficoltà ma che lui ha voluto organizzare in maniera dittatoriale, con l’obiettivo, di fatto raggiunto, di garantirle il dovuto sostentamento. Vediamo lo sceneggiatore lavorare a mollo nella vasca da bagno e poi battere forsennatamente su una Ibm, sempre con la sigaretta in bocca e il whisky a portata di mano. Per rappresentare il mondo del cinema di quegli anni Roach ha fatto un casting accurato onde scovare sosia di Wayne, Robinson Douglas, Preminger. Ma le scelte più efficaci sono state invece quelle di Helen Mirren (la vipera Hedda Hopper) e di uno strepitoso John Goodman (il produttore John King). Trumbo è un convincente Bryan Cranston, la moglie Cleo è l’ex-adolescente dei film di Coppola degli anni ’80 Diane Lane. Interessante lo spaccato del mondo del cinema di Hollywood. Come biopic funziona, a me è piaciuto assai.

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