Ho letto “La terra dei sogni” di Vidar Sundstøl

Non essere triste se ti sembra di non appartenere a un determinato posto. Vuol dire che le tue opportunità stanno altrove. Forse sei una di quelle persone che si creano il loro mondo mentre sono in cammino.
Queste parole pronunciate da Willy Dupree, indiano ojibway autoctono e suocero del protagonista Lance Hansen, racchiudono il significato più profondo di questo romanzo che definire thriller o giallo psicologico è alquanto riduttivo. E’ essenzialmente un romanzo sulle radici delle persone. In quel tratto del Minnesota in cui si svolge la storia, lungo la Minnesota State Highway 61 che collega Duluth a Grand Portage e poi entra in Canada – sono 180 suggestive miglia che costeggiano senza mai abbandonarlo il Lago Superiore – nel corso di duecento anni si sono insediati danesi, finlandesi (c’è persino una città denominata Finland), svedesi, soprattutto norvegesi.
Per inciso di Duluth è originario Bob Dylan, che ha dedicato alla Route 61 un brano e uno dei suoi album più famosi, Highway 61 Revisited.
Ogni raggruppamento, pur a distanza di generazioni, ha mantenuto le tradizioni della terra d’origine. Tra i norvegesi-americani ad esempio non manca mai il lutefisk, piatto a base di merluzzo. Si calcola che oggi vi siano più norvegesi in America che nell’intera Norvegia. E’ in questo ambiente che matura la storia raccontata da Vidar Sundstøl, norvegese, classe ’63. Protagonista, come detto, è Lance Hansen, poliziotto sui generis, in quanto si occupa solamente di mantenere l’ordine nelle foreste della contea. E’ appunto durante una delle sue perlustrazioni che trova il cadavere di un giovane norvegese con la testa completamente sfondata. Il ragazzo, poco più che ventenne, era in vacanza con un compagno per visitare in canoa la zona dei Grandi Laghi.
Lance, sposato e separato da una donna ojibway, con un figlio di dieci anni, è appassionato di ricerche storiche e negli anni si è costruito un archivio formidabile. Lo interessano le genealogie delle famiglie, che si perdono nella terra d’origine e che in alcuni casi, come nel suo, si sono mescolate con gli indiani nativi. In particolare una visione lo perseguita, quella di un certo Swamper Caribou, un uomo-medicina scomparso nel lago cento anni prima e la cui sorte è forse legata ad un suo giovane antenato allora appena giunto dalla Norvegia. Su questo indaga Lance e, in proprio perché non fa parte della polizia investigativa, anche sull’omicidio del turista norvegese. E le due vicende, a distanza di più di cento anni, sembrano essere intrecciate.
Per seguire i percorsi di Lance Hansen ho letto il libro tenendo a portata di mano una cartina del Minnesota: toponimi come South Range, Duluth, Grand Marais, Tofte, Grand Portage, Two Harbors, Taconite Harbor mi sono diventati famigliari. L’omicidio è avvenuto a metà circa della sponda del Minnesota del Lago Superiore, in un luogo dove è stata eretta la cosiddetta croce di Baraga. Un posto panoramico dove si recano le coppiette che vogliono appartarsi. Apprendo così che la croce fu eretta da Frederic Baraga, un prete cattolico di orgine slovena missionario nell’800 tra i Nativi Americani, come ringraziamento per essere scampato a una tempesta proprio in quel luogo. Baraga fu in seguito vescovo nel Michigan e nel 2012 è stato dichiarato venerabile da Benedetto XVI.
Della trama non racconto nulla. La terra dei sogni è noto come la Trilogia del Minnesota. Tre infatti sono i lunghi capitoli in cui è articolato l’interminabile romanzo (840 pagine): La terra dei sogni, I morti, I corvi. E’ un libro destinato a non scorrere via come acqua fresca. Mi ha segnato nel profondo per quel senso di spaesamento che le frasi che ho citato all’inizio ben rappresentano: la sensazione di essere un déraciné, di non essere mai nel posto giusto, di dover sempre cercare un luogo in cui stare, non solo fisico anche dell’anima.
Doveva abituarsi a convivere con un passato incompleto, con l’assenza di collegamenti logici tra le cose, accettare che la sua storia era un abisso oscuro di cui non si riusciva a vedere il fondo. Non discendeva da niente e da nessuno, le sue radici affondavano in un grande nulla.

 

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