Ho visto “Il diritto di uccidere” di Gavin Hood

E’ senza dubbio un film importante per gli interrogativi e le considerazioni che porta con sé. La domanda è quella che ci si pone dacché la guerra esiste, cioè da sempre. Quanto è lecito sacrificare degli innocenti, dei civili, per raggiungere degli importanti, indispensabili, obiettivi militari? Obiettivi che, beninteso, se raggiunti impedirebbero ulteriori stragi di innocenti. La riflessione riguarda invece l’uso del drone che, volenti o nolenti, è entrato prepotentemente nelle nostre vite di tutti i giorni. Il drone che lancia missili ormai è un dato di fatto. Sorprende invece, in questo film, il drone miniaturizzato che sostiene una microtelecamera e ha le fattezze di un coleottero e come tale è in grado di entrare in un ambiente chiuso attraverso una finestra senza destare sospetti, posizionarsi e trasmettere immagini dall’interno della stanza. Niente di fantascientifico. Bisogna solo prenderne atto e sapere che queste cose sono fattibili.
Nella vicenda narrata dal regista sudafricano Gavin Hood il piccolo drone entra nel covo di un gruppo di terroristi nella periferia di Nairobi. Le immagini trasmettono la preparazione di ordigni per attentati. Con loro è una cittadina inglese che ha abbracciato il fondamentalismo islamico rinnegando il proprio Paese e va assolutamente fermata. Americani e britannici sono uniti in questa operazione a distanza coadiuvati da alcuni agenti dissimulati tra le gente del posto. Uno in particolare manovra con un cellulare il piccolo drone. Quando giunge il momento di agire e lanciare il missile che annienterà i terroristi una bambina keniana si posiziona al di fuori del perimetro dell’edificio con un banchetto per vendere pane sfornato dalla madre. I militari antiterrorismo guidati a distanza dal colonnello Powell hanno un sussulto di coscienza. Se l’ordigno viene lanciato morirà anche la bambina. Tuttavia uccidere i terroristi prima che escano tra la gente con le loro bombe è fondamentale. Si innesca così il dibattito tra falchi e colombe, militari a vari livelli e politici con diversi punti di vista, sull’ineluttabilità dell’intervento. Si temporaggia, si procrastina, si fa il tifo attraverso gli occhi dei droni affinché la bambina venda al più presto le sue biove e si tolga di mezzo.
In questo senso è un film ansiogeno, antibellico se vogliamo, ma necessario. E bello, da morire! Ufficiali crudeli ed esecutori che piangono, distruzione, cadaveri tra le macerie. Ma gli attentati dei terroristi potrebbero fare di peggio. Il dramma di chi muore innocente è da mettere in conto. Film da vedere e metabolizzare.
Come colonnello Powell è straordinaria Helen Mirren (tanto per citare alcune interpretazioni recenti di questa grande attrice, L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo, Woman in Gold, Amore, cucina e curry, Red 2, Hitchcock). Per il compianto Alan Rickman (Luigi XIV in Le regole del caos, Ronald Reagan in The butler) il generale Benson è stata la sua ultima interpretazione.
Il film, uscito a fine agosto in Italia, mi pare già fuori circuito. Meritava miglior sorte.

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