Ho visto “Ma Loute” di Bruno Dumont

Troppo fantasioso e troppo grottesco per piacere al pubblico blockbuster. Difatti ha incassato poco e niente ed è uscito dal circuito delle sale molto presto. Il passaparola non ha funzionato o ne ha determinato l’insuccesso. Eppure c’è del buono in questa storia ambientata nel 1910 nel nord della Francia, vicino a Calais, quando l’Europa era vicinissima al baratro della prima guerra mondiale. Nella vicenda si contrappongono due famiglie, i Van Peteghem, famiglia borghese cittadina che trascorre le vacanze estive nella faraonica villa di proprietà sulle rive di la Slack, piccolo fiume che sfocia nella Manica vicino al paese di Ambleteuse, e la famiglia Brufort, poveracci raccoglitori di cozze e ostriche ma che guadagnano qualcosa anche trasportando a braccia i borghesi che vogliono raggiungere la riva opposta della foce del fiume.
Già questo è un primo segnale che mette in allarme lo spettatore. Il contrasto tra i due mondi si acuisce quando si comprende che qualcosa non torna nelle continue sparizioni di signorotti in vacanza. Su queste indaga l’enorme ispettore Machin – gira rimbalza e rotola come Il barattolo di Gianni Meccia, ma sempre si rialza come l’ Ercolino Sempre in piedi della storica pubblicità Galbani – coadiuvato dal suo assistente Malfoy. Brava persona l’ispettore, ma dotata di poco intuito professionale. In effetti i Brufort talvolta accoppano i loro clienti per cibarsene e c’è un’unica sanguinaria scena in cui mamma Brufort distribuisce orecchie e piedi, immaginiamo crudi, da mangiare ai suoi figli. Cannibalismo e lotta di classe, dunque, con il proletariato che letteralmente si mangia la borghesia. Ma poi l’approccio verso il cibo è identico perché le due famiglie sono entrambe molto religiose. “Non si gioca con il cibo” così mamma Brufort sgrida i suoi bambini che prendono a calci una potenziale vittima racchiusa in una rete. “Non si scherza con il cibo” dice mamma Van Peteghem ai suoi figli che ridono quando, al desco borghese imbandito, il padre non riesce a tagliare l’arrosto e vola via un pezzo di carne.
Il regista Bruno Dumont aggiunge poi un tocco di surreale facendo volare i suoi personaggi: l’ispettore Machin, già obeso di per sé, si gonfia a dismisura, vola via e con difficoltà viene riportato a terra; l’ispirata madame Van Peteghem si innalza e levita sulle dune per distaccarsi dal mondo.
Machin e Malfoy – a guardarli bene più Laurel & Hardy che Sherlock Holmes e Watson – non scopriranno alcunché. I Van Peteghem sono pieni di fumisterie che neppure nascondono, come anche di tanti segreti inconfessabili. Veri e ruspanti sembrano piuttosto essere i Brufort a cui hanno dato volto alcuni straordinari caratteristi. Uno su tutti, Brandon Lavieville che interpreta il giovane Ma Loute Brufort che si innamora della o del nipote dei Van Peteghem Billie, l’eccezionale quanto non meglio identificata Raph. Restano i tre personaggi principali: due star del cinema francese, Fabrice Luchini e Juliette Binoche, e la franco-torinese Valeria Bruni Tedeschi. Tre eccellenti interpretazioni, tutte molto sopra le righe, che varrebbero da sole il prezzo del biglietto se il film fosse ancora in circolazione.
Personalmente sono uscito dal cinema imitando il decadente, ondeggiante, stralunato, ingobbito, debosciato André Van Peteghem di Fabrice Luchini. Anche i doppiatori non hanno esitato a caricaturare i personaggi.

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