Ho visto “L’industriale”

Imbarazzante! “L’industriale” è un film imbarazzante. Non ci siamo, anzi “ai suma nen!”, visto che è ambientato e girato a Torino. D’altra parte scorrendo la filmografia del grande vecchio Giuliano Montaldo (oggi ultraottuagenario), ci si accorge che il meglio dei suoi lavori è concentrato negli anni Settanta (da “Gott Mit Uns” a “Sacco e Vanzetti”, da “Giordano Bruno” a “L’Agnese va a morire”). Quando il cinema italiano era un’altra cosa, mentre oggi con film come questo mostra tutti i suoi limiti. Che sono limiti di soggetto, di sceneggiatura, insomma di idee.
“L’industriale” era stato fatto passare per un film sulla recessione, sulla crisi dell’industria e del mondo operaio. Potenza della comunicazione! E c’è anche chi invita tutti a vederlo perché “contribuirà innegabilmente a far maturare uno spirito di riflessione sul tema del lavoro e delle implicazioni umane”. Mi sembra esagerato. Qui il mondo del lavoro è rappresentato solo da alcune carrellate dall’auto del protagonista e da due scene collettive, in cui spiccano i primi piani e una battuta di Steve Della Casa, nei panni improbabili di un operaio. (Poi qualcuno mi spieghi perché il presidente di Film Commission Torino Piemonte deve avere una seppur “amichevole partecipazione” in un film da lui sostenuto…..).
In realtà è una sorta di fotoromanzo filmato, un fumettone dove prevale la storia di coppia, tra l’industriale Nicola Ranieri e la moglie Laura, il tentennamento di lei verso un ingenuo spasimante rumeno (certo, bisognava metterci anche il povero straniero….), la gelosia montante di Nicola fino all’epilogo, modesto tentativo di virare la storia sul ‘noir’.
Che cosa c’è da salvare del film? Pierfrancesco Favino è bravino e credibile come industriale torinese. Carolina Crescentini è una bella faccia da cinema, il corpo statuario parla da solo, ma quel nudo a figura intera davanti allo specchio indossando le scarpe con i tacchi alti grida vendetta. Il giovane ‘baaria’ Francesco Scianna cresce bene e mette tutta l’untuosità del caso nel delineare l’avvocato d’affari Ferrero. Il povero Roberto Alpi è lasciato solo a rappresentare il mondo del credito, sempre più refrattario a concedere prestiti se non ultragarantiti. Garanzie che potrebbero arrivare dalla suocera Beatrice (Elisabetta Piccolomini, antipaticamente perfetta) ma che è troppo presa dai suoi “cru”.
Salvo comunque la riuscita gag del travestimento di due sushiman da imprenditori nipponici per rilanciare sull’offerta di un gruppo tedesco che potrebbe rilevare le Officine Meccaniche Ranieri.
Infine, per i torinesi, c’è da vedere la loro città splendidamente fotografata con dominanti grigiastre da Arnaldo Catinari. Splendida la fotografia, non la città che qui appare piuttosto dimessa anche negli angoli più significativi che il pubblico turineis gioca a scoprire dandosi di gomito. Ma forse era proprio questo lo scopo della produzione. O no?

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