Ho letto “Dario e Dio” di Dario Fo e Giuseppina Manin

In questo libro, pubblicato sei mesi prima della sua dipartita e giusto nei giorni dei suoi 90 anni, Dario Fo è intervistato da Giuseppina Manin e fa i conti con il suo rapporto con la religione, con Dio, San Francesco, il Papa. Ateo militante e maestro dello sberleffo, in tutta la sua opera teatrale e letteraria il Premio Nobel Dario Fo ha sempre capovolto l’antico adagio “scherza con i fanti ma lascia stare i santi”. Lui sui santi e sulla religione ha satireggiato non poco, anzi ci ha praticamente costruito una carriera.
Alle domande – anzi agli assist – della sua intervistatrice sciorina tutto il suo repertorio e ne ha per tutti. A partire da Gesù… Attore grandissimo. Gran fabulatore, gran senso del ritmo e delle pause. E del pubblico, s’intende. Gli bastava uno sguardo per capire chi aveva davanti e imbastire un discorso ad hoc.
Nella Genesi tifa per il serpente – che non è il male, è solo uno che esce dal coro – e sta con Caino, sfortunato già nel nome che ricorda il guaito di un cane. Ribalta l’ipotesi di Eva, non tratta da una costola di Adamo, ma modellata direttamente. Apocalisse, inferno e paradiso, l’invenzione del purgatorio, l’Annunciazione, nulla sfugge al suo commento dissacrante, ma riconosce anche che affermando la centralità del bene, della bontà e della pietà, il Nazareno compie un ribaltamento totale dei valori. Il concetto di bontà fino ad allora era sconosciuto. Ammiratore di san Francesco, tesse l’elogio di Bergoglio (un papa così non si era mai visto) e della sua enciclica Laudato si’, la prima enciclica verde.
Alla vigilia dei novant’anni Dario Fo fa giustamente i conti anche con la morte, non corteggiata e mai temuta, anzi rispolvera una delle giullarate presenti in Mistero Buffo, l’incontro tra il Matto e la Morte. E’ il momento più intenso e sincero del libro, ma poi riprende con lo stesso tono dissacrando la fabbrica dei santi.
Dario e Dio si conclude con il sogno premonitore in cui Fo incontra il Padreterno. Un bel dialogo in cui l’attore non le manda a dire.
Dio: “…Ad ogni modo, se non sbaglio, tu sei quello che fa teatro, dipinge, fa le regie… E scrivi pure. Anche su di me, monologhi e scene in cui mi prendi in giro. Vero?”
Io: “Be’, sì… Qualche battuta satirica ogni tanto mi scappa, ma sempre con grande rispetto…”
Per certi versi mi ha ricordato Il regno di Emmanuel Carrère. Ovviamente i due libri sono imparagonibili: uno è seriosità, l’altro leggerezza. E anche i punti di partenza sono distanti: Fo non è mai stato credente, Carrère da ex credente si sforza di confutare il Nuovo Testamento investigando la storia. A parer mio è il senso del dubbio, finale, che li avvicina, più di quanto non sembri.

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