In attesa di Banville ho letto “Ritratto di signora” di Henry James e guardato il film di Jane Campion

Che fare della miseria del mondo in uno schema di personale felicità?
Mi sono domandato perché John Banville abbia scritto un seguito del romanzo di Henry James e allora sono andato a riprendere Ritratto di signora che all’epoca del mio biennio di studi di letteratura inglese con il prof. Claudio Gorlier e di letteratura nordamericana avevo soltanto sfiorato. Che avrà di così attraente questo romanzo del 1881 ambientato soprattutto in Italia pochi anni prima, ma soprattutto, perché Banville è rimasto tanto affascinato da Isabel Archer da dedicarle una seconda vita? Così mi sono dilungato per due settimane nella lettura di questo libro, ormai non più avvezzo ad una letteratura così dettagliata, puntigliosa, precisa, che spacca il capello in quattro e in cui ad ogni capitolo fa irruzione il narratore: (Il biografo della nostra eroina non sa dir bene perché, ma questa domanda la fece trasalire e portò sulle sue guance un consapevole rossore). Nel romanzo c’è lo scontro tra cultura americana e inglese, tra vecchio e nuovo mondo, l’emancipazione della donna. Sullo sfondo c’è l’Italia, dove quasi tutto si svolge, Firenze e Roma in particolare, ma l’Italia è soltanto la quinta teatrale del romanzo. Non si evidenzia un personaggio, non una situazione sociale o politica. Italia come terra d’occupazione di nobili stranieri, quindi.
Tanto è vero che Isabel… Già da lungo tempo aveva preso Roma antica a sua confidente, poiché in un mondo di rovine la rovina della sua felicità sembrava una catastrofe meno innaturale.
Henry James se non altro ha grande rispetto per le italiche vestigia ma di tanto in tanto azzarda qualche critica al nostro Paese: Questi treni italiani hanno quasi l’andatura di un funerale americano. Che scriverebbe oggi?
Isabel Archer è sempre poco descritta, sia nelle fattezze che nell’abbigliamento: ...la nuova amica di Bunchie era una ragazza alta, vestita di nero, che a prima vista sembrava graziosa. Era senza cappello, come se abitasse in quella casa. Tutto qui. Bunchie è uno dei cani del cugino Ralph Touchett, colui che disperatamente innamorato di Isabel, in quanto consapevolmente destinato a una morte prematura, costringerà il padre banchiere a renderla erede di metà del suo patrimonio. Arriva da Albany (Stati Uniti), orfana e senza dote, condotta in Inghilterra dalla zia. Lady Touchett è il primo contatto con il mondo inglese e con l’Europa, vive prevalentemente a Firenze dove conduce Isabel a conoscere l’Italia. La ragazza è ansiosa di viaggiare, di conoscere il mondo e questo anelito di libertà la spinge a rifiutare due spasimanti, due ottimi partiti, tra cui un pari d’Inghilterra. Intanto il cugino Ralph la osserva, ne spia ogni atteggiamento, facendone quasi un feticcio: Le ragazze americane sono abituate ad esser trattate con gran deferenza, e si era già inteso che questa era un tipo indipendente. Ralph poteva leggerglielo senz’altro in faccia. Come già detto, è lui l’artefice della ricchezza che avrà la ragazza, un patrimonio che si trasformerà in una prigione, d’oro ma pur sempre una gabbia. Da ricca sente di aver conquistato la libertà, continua a respingere i due facoltosi spasimanti – l’americano Goodwood e Lord Warburton – e infine, stabilitasi in Italia, casca nella rete tesa dalla perfida Madame Merle che la induce a sposare Gilbert Osmond, americano trapiantato a Firenze, collezionista spiantato, vedovo e con figlia a carico.
Invidiò la stabilità dei «pezzi» di valore che non mutano di un capello, ma solo aumentano di pregio, mentre chi li possiede perde a poco a poco gioventù, felicità, bellezza.
Bastano pochi anni perché Isabel si accorga dell’errore fatto, le cose non sono andate come la giovane aveva desiderato. Il marito si è rivelato un despota. Il buon Ralph è morente a Gardencourt e Osmond proibisce alla moglie di andare al suo capezzale. Isabel gli disubbidisce e si precipita in Inghilterra dall’adorato cugino.
Si trovò in questo modo di fronte alla certezza che l’uomo da lei ritenuto il meno gretto del mondo l’aveva, come un volgare avventuriero, sposata per il suo denaro. Strano a dirsi, questo non le era mai venuto in mente prima; pur avendo pensato molto male di Osmond, non gli aveva fatto questa particolare accusa.
Dopo il funerale di Ralph prevale in Isabel il senso del dovere che le impone di tornare da Osmond. Nel film di Jane Campion (1996) il finale invece resta aperto. Dopo aver respinto l’ennesima profferta di matrimonio da parte di Goodwood, non è chiaro se Isabel faccia ritorno o meno a Roma dal marito. Credo che lo scoprirò leggendo il romanzo di John Banville.
Ho sorvolato qui su personaggi comunque essenziali nella storia, come la contessa Gemini, sorella di Osmond; Pansy la figlia dello stesso, che vediamo tasformarsi da educanda in ragazza da marito; la giornalista americana Henrietta Stackpole, amica di Isabel.
Quanto alla pellicola di Jane Campion i caratteri meglio riusciti sono i personaggi più negativi: l’Osmond di John Malkovich, Madame Merle di Barbara Hershey e la contessa Gemini di Shelley Duvall. Inappuntabile la protagonista Nicole Kidman, Viggo Mortensen è il focoso Goodwood, mentre un tocco di italianità è dato da Valentina Cervi (Pansy).
In circostanze adatte, poche ore nella vita sono più piacevoli dell’ora dedicata alla cerimonia nota col nome di tè del pomeriggio. Vi sono circostanze in cui, sia che si prenda sia che non si prenda parte al tè (per non parlare di chi il tè non lo prende mai) la situazione è in se stessa deliziosa.

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