Ho letto “Fate il vostro gioco” di Antonio Manzini

Il fumo della sua preghiera mattutina saliva in dolci e dense spirali. Lassù stava già nevicando.
Era inevitabile che prima o poi Manzini si sarebbe occupato del Casino de la Vallée. Anzi, lo attendevo al varco con una nuova inchiesta di Rocco Schiavone. So che si è documentato bene sulle vicende della casa da gioco, almeno quelle dell’ultimo periodo, potendo anche contare vari amici da quelle parti. A mio parere questo nuovo romanzo gli è riuscito bene, arrivo a dire che è il migliore della serie.
Manzini ci restituisce un vicequestore più umano e balordo che mai. Parrebbe una contraddizione, ma non è così. L’umanità attiene al suo percorso degli ultimi tempi, la malinconia per la mancanza della moglie Marina (arriva a pensare di vendere l’appartamento di Roma a cui è legato da tanti bei ricordi) e la delusione per il tradimento professionale di Caterina, l’amante di pochi giorni. Nel contempo trasferisce sempre più il suo burbero affetto sul giovane vicino di casa Gabriele, per il quale diventa più di un padre, attento e generoso. La balordaggine gli deriva come sempre dal suo passato torbido e che gli ha creato non poche grane. Non è un esempio ragguardevole di poliziotto: continua a usare i vecchi amici, ladri, bari e imbroglioni per sistemare le cose attorno a sé, anche quelle che riguardano le indagini. E lo fa (quasi) impunemente sotto gli occhi del questore Costa e del procuratore di Aosta Baldi. Da tempo Schiavone è sotto la lente di entrambi, dopo le vicende del libro precedente terminate con l’arresto del suo ‘nemico’ Enzo Baiocchi e del fraterno amico Sebastiano. Proprio da lì prende l’avvio Fate il vostro gioco, frase emblematica della casa da gioco.
Temi principali sono ovviamente il gioco, le ludopatie, il riciclaggio di denaro, i prestasoldi e tutto quanto ruota attorno a una casa da gioco come quella di Saint-Vincent che sta vivendo una crisi epocale e probabilmente definitiva. Tutto ciò è raccontato bene da Manzini che infila nella storia l’omicidio di un ispettore del Casino in pensione. La squadra è la solita, formata da Scipioni, Casella, Deruta, D’Intino e il fido braccio destro Italo Perron, questa volta invischiato in una brutta storia personale. E poi l’anatomopatologo Alberto Fumagalli e l’ultima arrivata, la sostituto della polizia scientifica, Michela Gambino. Schiavone se li porta tutti al Casino de la Vallée a controllare dei sospetti, in una scena che, quando la vedremo nella versione televisiva, dovrebbe essere esilarante.
Tutto quel mondo non gli piaceva e si sentì fortunato a non farne parte ma anzi a considerarlo l’orlo di un precipizio. Puntare soldi per cercare la fortuna per Rocco Schiavone era un’idiozia pura.
Ciò che non ho apprezzato del romanzo è il finale aperto, troppo aperto. Schiavone trova un colpevole del delitto, capisce l’ambito ma non scopre il movente e lascia una porta aperta sul prossimo libro. Così non va bene: anche se il romanzo è seriale, la singola storia deve essere chiusa. Troppo comodo altrimenti!
Buone invece le ambientazioni e la toponomastica di Saint-Vincent (che conosco bene), perfino i nomi dei personaggi del Casino sono plausibili.
Schiavone rivolto alla sua cagnetta Lupa: Lo sai, amore? Una volta qualcuno ha scritto che il passato è un morto senza cadavere. Non per me, no. Nel mio ci sono più cadaveri di un obitorio…

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