Due cadaveri che si scambiano di posto, uno spaventapasseri da tenere d’occhio, una ragazza bionda molto avvenente ma con il cervello di una bambina di 5 anni, un medico dalla deontologia discutibile, infine un giovane poliziotto dai capelli rossi, timido e beneducato. È l’ispettore G.7 e a leggerlo oggi vien da sorridere. Il vertice dei ministri dell’economia delle sette nazioni più avanzate non c’entra nulla. Per Simenon è soltanto una sigla, uno dei tanti personaggi testati dallo scrittore belga (pare fossero diciotto) nel caso la figura del commissario Maigret non avesse funzionato tra i lettori. Di G.7 era anche pronto il nome definitivo: ispettore Sancette. Ma il test era destinato a rimanere tale, l’accoglienza fu piuttosto fredda e intanto Maigret aveva avuto successo con la prima storia, Pietr il Lettone (1931). C’è da dire che la Pazza di Itteville (piccolo comune dell’ Île-de-France) era stato pubblicato come una sorta di fotoromanzo letterario, arricchito dagli scatti di una fotografa di moda, Germaine Krull. La collana nasce e muore subito e Simenon per quarant’anni si dedica a Maigret, a parte le centinaia di altri scritti.
E dunque è come semplice curiosità che vale la pena di leggerlo. La trama è troppo ingarbugliata e improbabile, ma conoscere più a fondo le intenzioni che Simenon aveva su G.7 sarebbe stato interessante. Le sue deduzioni sono in linea con la migliore tradizione investigativa: per principio, io dubito degli alibi troppo solidi… Un innocente non ha quasi mai un alibi di ferro... La narrazione è affidata all’assistente di G.7 che ha come una venerazione per il suo capo: ha trent’anni, ha l’aria di un giovanotto beneducato, un tantino timido. Insomma lo vedresti benissimo come segretario del sindaco in una cittadina di provincia o praticante da un notaio. Il soprannome gli deriva dai capelli rossi, che fanno pensare al colore dei taxi della Compagnia G.7.
L’epilogo ci consegna il caso risolto e l’ispettore in visita alla pazza nel manicomio di Parigi due volte la settimana. Racconto breve, letto nella collana Adelphi ebook.
E dunque è come semplice curiosità che vale la pena di leggerlo. La trama è troppo ingarbugliata e improbabile, ma conoscere più a fondo le intenzioni che Simenon aveva su G.7 sarebbe stato interessante. Le sue deduzioni sono in linea con la migliore tradizione investigativa: per principio, io dubito degli alibi troppo solidi… Un innocente non ha quasi mai un alibi di ferro... La narrazione è affidata all’assistente di G.7 che ha come una venerazione per il suo capo: ha trent’anni, ha l’aria di un giovanotto beneducato, un tantino timido. Insomma lo vedresti benissimo come segretario del sindaco in una cittadina di provincia o praticante da un notaio. Il soprannome gli deriva dai capelli rossi, che fanno pensare al colore dei taxi della Compagnia G.7.
L’epilogo ci consegna il caso risolto e l’ispettore in visita alla pazza nel manicomio di Parigi due volte la settimana. Racconto breve, letto nella collana Adelphi ebook.