Ho letto “Gli inconvenienti della vita” di Peter Cameron

Peter Cameron o la tecnica del progressivo disvelamento.
Questa caratteristica della sua scrittura è ancora più evidente nelle due novelle che compongono questo libro, pubblicato da Adelphi nel 2018 (traduzione di Giuseppina Oneto, in realtà uscite in originale separatamente, nel 2010 e 2014). Cameron colloca la prima, La fine della mia vita a New York, nel quartiere di Tribeca, ambiente intellettuale. È una storia minimale, anzi non è neppure una storia, ma un affresco sul disfacimento  del rapporto di una coppia: Stefano, avvocato d’impresa in carriera, e Theo, scrittore in crisi, da sette anni alle prese con il suo secondo libro dopo un incidente automobilistico spaventoso provocato dalla sua ubriachezza e che ha lasciato strascichi sulla sua coscienza, tanto che ricorre, o dovrebbe ricorrere secondo il compagno, a uno psicanalista. Elemento catalizzatore di questa crisi che Cameron svela a poco a poco potrebbe essere Natasha, sceneggiatrice cinematografica che fa lo spola tra New York e Los Angeles. È amica di vecchia data di Theo e insieme a Stefano cerca di scuoterlo dal torpore creativo in cui è precipitato.Con lui aveva un rapporto strano, lo sapeva. Quando era una sua studentessa, l’aveva incoraggiata e aiutata in modo straordinario. A volte perfino troppo, quasi deviasse su di lei la sua ambizione e la sua volontà di sfondare.
Ma tant’è, neanche un aperitivo a tre riesce a sortire degli effetti, Natasha abbandona il campo e restano le doppie inutili lacrime dei due uomini.
Povero Stefano, che si vergogna di piangere! Theo lo abbracciò. Stefano era un represso della lacrima: non faceva un gran rumore, ma si scuoteva molto.
Sempre di coppia, ma di diversa natura, tratta la seconda novella, Dopo l’inondazione. Un’America rurale, cittadina di provincia, come quelle cantate da Kent Haruf e Richard Ford. Due pensionati vengono convinti dal reverendo Judy – lei viene da quella nuova generazione di ecclesiastici che smaniano per modernizzare la chiesa e attirare i giovani – a ospitare per qualche tempo nella loro grande casa una famiglia vittima dell’inondazione. Tempo qualche giorno e la comunità troverà per loro una soluzione definitiva. La novità incrina ancora di più il già malfermo rapporto tra i due settantenni. Oltretutto gli ospiti sono vissuti come ‘diversi’, si chiamano Escobedo: immigrati dal sud del continente o dall’Europa? La convivenza non è poi così disastrosa e nel caso della donna, che è anche la narrante, lascia qualche rimorso e rimpianto: “quando ero piccola, chiamavamo tutti quelli che vivevano lungo il canale ‘topi d’acqua’ perché le loro case si allagavano sempre”. Il processo di disvelamento di Cameron qui è più interessante. Comprendiamo che in quella casa è vissuta la loro figlia, che poi si è sposata, che non c’è più, una malattia? no, perché non c’è più neppure la nipotina e sono rimasti i suoi giocattoli, un incidente? forse, ma la scomparsa anche del marito della figlia fa pensare a qualcosa di ancora più tragico. Cameron dissemina questi elementi poco alla volta e per arrivare al termine si fa aiutare dalle apparizioni invadenti del reverendo Judy.
La tragedia è arrivata troppo tardi nella sua vita, dice la protagonista, e non ha fatto in tempo a diventare alcolista o drogata. Resta il suo non rapporto con il marito, chiuso nel suo mutismo. Amare le sue considerazioni sulla vecchiaia, la cui metafora è l’armadio pieno di vestiti e di cravatte che non vedranno più la luce. Quale occasione per indossarli, un matrimonio poco probabile, un funerale… può capitare. E allora cosa aspettarsi dalla vita a settant’anni? Magari anche solo svegliarsi la mattina dopo. Io questo me lo aspettavo? Sì. E se ci si aspetta questo, perché non aspettarsi anche qualcos’altro? Il semplice risveglio, il semplice fatto di essere svegli, vivi, non è abbastanza.

Un giorno questo dolore ti sarà utile, (Someday This Pain Will Be Useful to You – 2007)
Coral Glynn, (2012)
Il weekend, (2013, titolo originale: The weekend, 1994)
Andorra
(2014, titolo originale: Andorra, 1997)

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