Ho letto “Il Grande Torino” di Alberto Manassero

Credo che occupandoci di letteratura granata d’ora in avanti occorrerà fare i conti con un “prima” e con un “dopo” Manassero. Infatti Alberto ha messo un punto fermo nelle storie sugli Immortali con un  libro che si staglia per competenza, accuratezza, cura maniacale dei dettagli (la passione, quella, non era neanche da mettere in dubbio). Non parlo tanto dell’idea, per quanto geniale, di far raccontare il Grande Torino da un Filadelfia fattosi quasi antropomorfo (questa, niente meno, viene molto apprezzata da Franco Ossola nella prefazione), ma della forza narrativa che il libro ha in sé.
Manassero si rivela un fine narratore e così dalla sua penna la vicenda degli Immortali si dipana più intrigante di un romanzo d’avventure. Finalmente un libro sul Grande Torino che non sia una semplice compilazione di eventi e di fotografie! Certo anche lui si avvale di materiale giornalistico, ma i brani scelti e pubblicati sono opera dei vari Cavallero, Casalbore, Tosatti, Ettore Berra, Carlin Bergoglio, grandi firme del giornalismo sportivo di allora. Una stampa pronta a esaltare le gesta della squadra, ma non scevra dal criticare quando le cose andavano meno bene. Dalle loro cronache Bacigalupo, Ballarin, Maroso… prendono forma, balzano fuori dalle pagine e ci paiono vivi, qui con noi, tanto in campo che nel privato. Tante storie in una Storia.
La storia del Torino raccontata in queste pagine inizia nel lontano 1897, molto prima della nascita del narratore (che ricordo è lo stadio Filadelfia), e non è fatta solo dagli Immortali. Tante figure si sono avvicendate per costruire quello che è stato il Toro del quinquennio degli scudetti, tante sorprese attendono il lettore anche quello più appassionato e documentato. Ad esempio non sapevo che Ezio Loik, per un certo periodo, al sudore sui campi da gioco della serie A avesse abbinato un impiego alla Fiat. Così come non conoscevo i retroscena legati allo scudetto revocato del 1927, al torneo di guerra 1944, intuivo ma non sapevo nel dettaglio i condizionamenti della politica fascista sullo sport. Né sapevo della balzana idea dei partigiani di Giorgio Bocca, ovviamente abortita, di rapire i giocatori del Toro in raduno a Santa Vittoria d’Alba come atto dimostrativo.
I personaggi che popolano questa storia si delineano forse come mai si era visto prima.  Cito solo alcuni di essi che l’autore racconta con ricchezza di particolari: Ernest Egri Erbstein, uomo di cultura prima che di sport, Kutik, Copernico, Iginio Giusti, Lievesley, fino a quel meraviglioso presidente che è stato Ferruccio Novo, il vero padre della corazzata calcistica invidiata in tutto il mondo e chiamata Torino.
Novo altresì vuole che il Torino vinca e continui a vincere, che diventi un modello di crescita, longevità, idee e gestione… un modello che produca calcio, successi, campioni e introitiAllevare giocatori, crescerli come uomini e potenziali campioni, è nel dna del Toro.
Nel libro non mancano precise notazioni tecniche sull’evoluzione del gioco del calcio, con il passaggio dal metodo al sistema e i campionati vinti sono raccontati partita per partita, non con i tabellini, ma con una prosa emozionante. Alberto Manassero, pardon il “Fila”, si diverte anche a raccontare aneddoti gustosi riguardanti i giocatori (anche le loro ostinate bizzarrie fuori dal campo di gioco), lo staff tecnico, la tifoseria, l’intera città. Torino emerge dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e offre al mondo una squadra di calcio come simbolo della rinascita dell’Italia. Una squadra che si fa Nazionale azzurra fino a dieci undicesimi.
Ogni capitolo della vicenda granata è contestualizzato nel suo periodo storico, politico, economico e sociale. Anche artistico, perché la popolarità dei giocatori superava i campi di gioco per fondersi con quella dei maggiori artisti che calcavano le scene di quei tempi.
Avrei fermato volentieri la lettura a quel 3 maggio 1949. Ma sono andato avanti fino all’ultima pagina, sapevo che mi sarei commosso. Mi succede e mi accadrà sempre ogni qualvolta leggerò l’epilogo di questa squadra immensa, più forte di tutto e di tutti.
Infine, è inevitabile chiedersi se questo splendido libro, in circolazione ormai da diverse settimane, sia stato letto da Urbano Cairo, Mazzarri e da ogni singolo giocatore (mi aspetto che almeno Andrea Belotti lo abbia fatto). Se lo facessero capirebbero che il Toro è altro rispetto a quello che loro stanno rappresentando miseramente a ogni partita. Fateglielo leggere, come compito se non come piacere di lettura. Ma presto! e se dopo non cambia nulla nei loro atteggiamenti allora non c’è più speranza.

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