“La casa delle tenebre” di Jo Nesbø, un horror che ricorda Joe Lansdale

Ho paura delle altezze. Ho paura del buio. Ho paura dell’acqua. Ho paura degli incendi. E ho paura dei telefoni. Ma soprattutto ho paura di aver paura.
Per la prima volta Jo Nesbø si cimenta con un romanzo horror. Il risultato mi pare sufficiente anche se non entusiasmante. Il romanzo è suddiviso in tre parti, ognuna delle quali ribalta la situazione precedente. A me ha ricordato molto da vicino Joe R. Lansdale, non quello del ciclo di Hap&Leo ma la trilogia del Drive-In. La casa delle tenebre si svolge nell’immaginaria cittadina di Ballantyne e ha per protagonista il quattordicenne Richard Elauved. Il ragazzo ha perso entrambi i genitori in un incendio ed è stato affidato a una coppia di zii. È un ragazzo intelligente, grande lettore, ma asociale e per questo viene emarginato dai compagni di scuola. Per contro si vendica con qualche episodio di bullismo, indirizzato soprattutto verso i più deboli. Trova un po’ di comprensione al suo modo di essere in Karen, la bellona della classe, con cui riesce a confidarsi.
Il primo episodio degno di nota è quando Richard convince uno studente di nome Tom a fare uno scherzo telefonico. Trovano una cabina, Richard compone il numero e lascia la cornetta all’amico. A parer mio è il momento più divertente del libro.
…il telefono cominciò a emettere un rumore di risucchio, come quando il mio papà affidatario mangia il brodo, e un altro pezzo di mano sparì all’interno.
Prima l’orecchio, poi le dita, la mano, il braccio e infine Tom tutto intero scompare nel telefono. Pura letteratura horror!
Naturalmente quando la polizia si mette a indagare sulla scomparsa di Tom non crede minimamente al racconto di Richard che come già detto si confida solo con Karen. Da quel momento il ragazzo è controllato e pedinato. Riesce però a eludere i controlli e convince un altro compagno a partecipare alle sue scorribande. È Jack, il cui soprannome Fatso lo inquadra bene fisicamente. Anche questo studente scompare davanti ai suoi occhi, si trasforma in una cicala e vola via.
Qualcosa affiorò dalla schiena incurvata di Fatso. Dalla sua maglia spuntò qualcosa di sottile, come una pellicola da cucina o il materiale degli ombrelli trasparenti. …intorno al corpo di Fatso cominciò a formarsi una sostanza nera e lucida che sembrava il guscio di una nocciola. O di un insetto.
Inutilmente torchiato dalla polizia, Richard viene infine spedito in un riformatorio.
Che la cittadina di Ballantyne e i suoi abitanti siano sotto l’influsso di una magia nera?
Altro momento saliente si ha quando Richard, scappato dal riformatorio grazie ad un rocambolesco escamotage, torna a Ballantyne con due stranissimi individui per esplorare  una grande villa patrizia abbandonata nel Bosco dello specchio. L’edificio è completamento avvolto dalla vegetazione. Lì crede che si annidi il mistero delle due scomparse. Ed in effetti la casa di misteri ne nasconde diversi.
Robuste radici d’albero spuntavano dalle fondamenta per poi sparire nel suolo, come se la casa stessa fosse un albero. Nella luce le radici parevano muoversi, quasi fossero tanti muscoli poderosi o dei serpenti boa.
Pericolo! Sono radici prensili che afferrano le gambe e fanno sparire il malcapitato. Così spariscono nel buio della villa i suoi due compagni d’avventura.
Poi Jo Nesbø vira decisamente. Nella seconda parte si apprende che quanto narrato finora è il frutto di un libro di successo dello scrittore Richard Hansen destinato a diventare un film. Richard viene festeggiato in una rimpatriata con gli ex compagni di scuola in cui ritroviamo vivi, vegeti e cresciutelli quelli che erano scomparsi in precedenza.
Che non sia vero niente lo apprendiamo nella terza parte deli libro. Insomma il giallista norvegese scherza e ci gioca. Dal canto mio mi tengo bene stretti quei tre momenti esilaranti e aspetto che Jo Nesbø riprenda a scrivere per la serie di Harry Hole.
Guardai le copertine. Su una, insieme al nome dell’autore William Golding e al titolo Il signore delle mosche, c’era una testa di maiale impalata. Sull’altra, La metamorfosi di Franz Kafka, un insetto grottesco, forse uno scarafaggio.

(La scomparsa del ragazzo dentro il telefono non potrebbe essere una metafora applicabile ai giovani d’oggi?).

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