“La famiglia Aubrey” di Rebecca West, prima parte della saga

Per la prima volta fui testimone del miracolo operato sui morti, che passano automaticamente dalla parte della ragione, anche se prima erano da quella del torto.
Mi sono avvicinato a Rebecca West quando ho letto il bel libro di Uwe Neumahr, Il castello degli scrittori. Uno dei capitoli è proprio dedicato alla scrittrice inglese, inviata come reporter al processo ai criminali nazisti nel 1945 a Norimberga. Le sue corrispondenze sarebbero poi confluite nel volume Serra con ciclamini, pubblicato l’anno dopo. Neumahr attribuisce alla West, il cui vero nome era Cicely Isabel Fairfield, comportamenti a dir poco esuberanti durante le settimane del processo. In effetti ebbe una relazione con uno dei giudici, cosa assai sconveniente in quel contesto. Mi ha incuriosito il suo rapporto con H.G.Wells, di ventisei anni più vecchio, da cui ha avuto un figlio nel 1914, non tanto questo aspetto, quanto per i loro mondi letterari agli antipodi. Prima del conflitto aveva all’attivo diversi romanzi, reportage giornalistici, libri di viaggi. Successivamente si è spostata verso quella che ritenevo letteratura rosa, come la saga della famiglia Aubrey. Sbagliavo. Leggendo il primo volume, La famiglia Aubrey appunto, mi sono dovuto ricredere. Poi ho visto che Alessandro Baricco ha sdoganato l’intera trilogia: Quel che prima mi sembrava una collezione sfinente di dettagli inutili adesso mi appariva come il corretto censimento delle cose, il minimo che si debba concedere al miracoloso esistere del mondo. Beh, anch’io sono stato travolto dalla noia nella prima parte del libro, poi ho preso il ritmo e mi sono inserito nella vita quotidiana di questa strana famiglia, a prevalenza femminile. La madre Clare che è stata pianista e ha inculcato la passione per la musica alle tre figlie e al figlioletto minore. La primogenita Cordelia, aspirante violinista di nessun talento e tanta presunzione, le gemelle Mary e Rose (la narrante) pianiste dotate e forse con un avvenire roseo nella professione, il piccolo Richard Quin portato per tutti gli strumenti ma senza una inclinazione particolare. A lui tocca la parte del simpatico, sempre in grado con le sue battute di sdrammatizzare le situazioni famigliari difficili: nessuno di noi ha nulla, e questo nulla lo possiamo dividere in quante parti vogliamo, il nulla è divisibile finché si vuole, e ce ne sarà sempre una quota per tutti.
Che non sono molte e tutte legate alla figura del padre Piers, giornalista e direttore di un periodico locale, un utopista di inizio Novecento accanito divulgatore di idee progressiste sempre perdenti, ma soprattutto gran sperperatore dei beni di famiglia. Con ciò la povera Clare si deve arrangiare per amministrare la casa, anche se in una famiglia ora povera ma che fu borghese, una cuoca non può mancare mai.
La maggior parte degli adulti è sgarbata con i bambini, e molti dei ricchi lo sono con i poveri. Eravamo bambini, eravamo poveri, dunque vittime di un duplice assalto.
Il romanzo copre una decina di anni di storia della famiglia Aubrey, senza precisare mai le date. La vita scorre tra spartiti, trascrizioni, scale, arpeggi, audizioni. Il bricco del tè è fumante a tutte le ore e ordinari momenti di vita famigliare diventano un rito, come il settimanale lavaggio dei capelli. Le bambine si fanno signorine e guardano al futuro.
Cosa piace alla fine? Indubbiamente lo spaccato di vita inglese a cavallo del secolo, con riferimenti alle origini irlandesi e scozzesi della famiglia. Poi le caratterizzazioni dei personaggi. La figura del padre, quest’uomo distratto, disattento alle necessità dei figli, ma ineguagliabile profeta di calamità politiche internazionali, sempre respinto dai politici a cui si avvicina. Non ultima la scoperta che la minuziosità descrittiva è un valore. Infine il proverbiale humour britannico che pervade tutta la narrazione.
i gentiluomini avevano preso la barbara abitudine di indossare il pigiama. Non riusciva a capire perché dovessero avere quella stupida voglia di indossare giacca e pantaloni a letto quando le camicie da notte erano tanto più facili da stirare
Leggerò altro, intanto annovero Rebecca West tra le cose migliori della letteratura inglese del Novecento. La famiglia Aubrey, titolo originale The Fountain Overflows, è del 1956. Le puntate successive della trilogia uscirono postume: This Real Night, 1984 (Proprio stanotte o Nel cuore della notte, a seconda delle edizioni di Mattioli 1885 oppure Fazi); Cousin Rosamund, 1985 (incompiuto), Rosamund, con l’identico titolo nelle due edizioni italiane.

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