Ho letto “Un amore perfetto” di Howard Jacobson

Nessun uomo ha mai amato una donna senza immaginarsela tra le braccia di un altro.

Partendo da questo concetto si spiega tutta la storia, che è quella di Felix Quinn, raffinato libraio antiquario di Londra, affetto da una particolare forma di masochismo. Ossessionato dall’idea che la logorroica moglie Marisa lo tradisca, la spinge lui stesso verso il tradimento trovandole un amante, Marius, uomo bello ma non affascinante, piuttosto cinico, appassionato di donne sposate, che Felix immagina sessualmente in gamba. Si crea così uno strano triangolo, in cui il terzo lato, Marius appunto, non è consapevole di esserlo. Fino a quando Felix – libertino assenteista come lui stesso si definisce – non decide di rivelargli il gioco che sta facendo. E allora la moglie lo abbandona per davvero, complice anche una malattia che le si rivelerà fatale.
Una storia sull’amore e sulla gelosia. Sul desiderio e sull’ossessione amorosa. Non una bella storia, anche se qualche spunto è interessante. E’ una storia dei giorni nostri, ma il compassato mondo londinese o forse le numerose citazioni letterarie la fanno sembrare ambientata nell’800.
Avevo comprato questo libro – scritto nel 2008, edito da Cargo nel settempre 2010 – per una recensione che lo definiva il miglior libro umoristico dell’anno. In realtà c’è poco da sorridere, se non il capitolo in cui si descrive lo spulzellamento del Felix ormai ventunenne e accompagnato al casino dal papà e dagli zii. E’ una casa di tolleranza un po’ particolare, dedicata ai masochisti (un vizio di famiglia evidentemente).
Racconta il povero Felix: “Ma non mi piacque nulla di ciò che provammo. Né il frustino, né il gatto a nove code, né il nerbo di bue, né la ruota, né la gabbia, né le manette, né lo strizza palle, né il bavaglio……….”. E mi fermo qui per decenza perché il catalogo delle perversioni va oltre ogni immaginazione.

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