Ho letto “Full of Life” di John Fante

Era da qualche tempo che non leggevo John Fante. Ero rimasto folgorato e affezionato alla saga di Arturo Bandini, che prima o poi vorrò rileggere. In “Full of Life” Fante non si nasconde dietro il suo alter ego, ma compare – unico caso nella sua produzione letteraria – in prima persona per narrare la gravidanza della moglie Joyce e la nascita del primogenito. Dapprima John fa l’elogio della moglie.
La mia prosa, così come era, derivava da lei. Perché io abbandonavo sempre quello che scrivevo, lo odiavo, disperato, accartocciavo i fogli e li buttavo per la stanza. Ma lei rovistava fra tutta quella roba che io gettavo e veniva a capo delle cose…
Poi prevale l’imbarazzo di entrambi per quel pallone bianco che Joyce si portava addosso e che li costringeva a mantenere le distanze. Dio salvami. Avevo dimenticato la sporgenza…. Come una pietra, il bambino si interpose fra di noi. Io ero preoccupato e mi chiedevo se le cose sarebbero mai tornate come prima.
In John si fa strada l’idea che il bambino possa non essere normale, a causa di anni scapestrati da lui vissuti prima del matrimonio. Un’ansia che passa presto grazie alle rassicurazioni del ginecologo. Quindi un banale incidente domestico, la rottura del pavimento in legno della cucina, divorato dalle termiti, lo costringe a far ricorso all’Uomo per eccellenza: il contadino, il muratore, il tuttofare, il Padre.
Sono pagine divertenti e insieme tristi quelle con cui John Fante si riavvicina e si porta a casa il vecchio emigrante, che non rinuncia in nessun modo ad esercitare il suo ruolo di pater familias.
“Ti ricordi che ti avevo detto? Mangia molte uova. Tre, quattro al giorno. Se no, è una bambina.”
L’anziano genitore, che avrebbe dovuto riparare il pavimento, in realtà ricostruisce un caminetto più grande, di cui il nipotino possa essere orgoglioso. Ma soprattutto Fante senior crea un’alleanza con la nuora a scapito del rapporto col figlio. Intanto Joyce, protestante, ha una crisi esistenziale e abbraccia la fede cattolica. Si fa battezzare proprio prima del parto e vorrebbe che il marito si riavvicinasse ai sacramenti.
Dieci minuti dopo vidi il bambino….. Era grinzoso e brutto come uno gnomo intinto nel rosso d’uovo. Con dei baffi sarebbe stato identico a mio padre….Contai dieci dita delle mani, dieci dei piedi e un pene. Un padre non avrebbe certamente potuto chiedere di più.
E’ un bellissimo triangolo di rapporti quello tra Joyce, John e suo padre, che nel finale torna a casa propria con il suo retaggio di tradizioni e credenze d’Abruzzo (l’aglio, le uova, il sale nel letto, il basilico….) e lascia spazio al nuovo arrivato, stavolta un vero americano. Non c’è molto di diverso rispetto a quanto accade in molte famiglie, dove si disputa sul ‘maschio o femmina’ e i nonni vogliono dire la loro. Ma la vicenda è raccontata con semplicità e forte ironia. Scritto nel 1952, “Full of Life” quattro anni dopo è divenuto un film diretto da Richard Quine, dove il cognome Fante curiosamente viene mutato in Rocco.

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