Ho letto “L’estate alla fine del secolo” di Fabio Geda

Perché la vita mi frana accanto?
Non addosso.
Accanto.

E’ l’estate del 1999. Il ragazzino Zeno giunge dalla Sicilia a Genova con la mamma Agata e il papà Vittorio che sta per essere ricoverato in una clinica nel tentativo di sconfiggere la leucemia. Poichè non può restare con la mamma in clinica a seguire l’evolversi della malattia del padre, viene affidato alle cure del nonno materno Simone – di cui Zeno ha sempre ignorato l’esistenza – che vive in un paesino dell’Appennino Ligure. La scoperta di avere un nonno un po’ indispone e un po’ incuriosisce Zeno che si accinge a trascorrere con lui una intera estate. L’uomo non è di tante parole, burbero, severo, lascia che il ragazzo si organizzi la ‘vacanza’ a modo suo, ma nel rispetto di alcune regole di pacifica convivenza. La mamma non ha mai raccontato di lui, quindi il personaggio è tutto da scoprire. La diffidenza reciproca si dissolve con il passare dei giorni e tra i due si instaura un rapporto forte, anche se fatto soprattutto di silenzi.
Il tempo continuava a essere instabile, come il mio umore. Una mezza giornata di sole e spensieratezza si alternava, con un ritmo sincopato, a tre o quattro ore di pioggia e malinconia. Nonno mi sopportava con impazienza.
La figura di nonno Simone, ebreo genovese sfuggito ai rastrellamenti nazisti e rifugiatosi con la famiglia in quel borghetto appenninico, poi manager di successo e infine ritornato proprio in quei luoghi, da vedovo e pensionato, si delinea attraverso capitoli che si alternano al racconto della vacanza di Zeno e delle sue scoperte preadolescenziali. L’artifizio letterario è quello del quaderno-diario ritrovato post-mortem nella casa del nonno.
In questo modo si saldano le generazioni e in taluni istanti del romanzo nonno e nipote sembrano fondersi in un’unica persona. La saltuaria presenza della mamma e la malattia del padre rappresentano invece il richiamo alla realtà e a un futuro che per Zeno è ancora tutto da costruire.
Fabio Geda mi ha piacevolmente sorpreso, con una storia ben raccontata e nella quale mescola luoghi inventati, quasi metafisici (Capo Galilea e Colle Ferro), della vita di Zeno – tanto più che il ragazzo vive perennemente sintonizzato nel fantastico mondo dei fumetti – alle vicende della famiglia di Simone, drammaticamente reali. ….lo faccio per mio padre. E’ stato lui ad aprire la porta, a trascinare mio fratello, e ora spetta a me.
Un solo appunto. Non ho apprezzato l’eccessivo uso dell’intercalare ‘perdio’ da parte dell’autore. Vabbè che è un termine censito dall’Accademia della Crusca e Zeno narra le vicende dell’estate 1999 ormai adulto, ma quando è troppo…..

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