Ho letto “Nelle foreste siberiane” di Sylvain Tesson

Se qualcuno mi chiede perché sono venuto a rinchiudermi qui, risponderò: “Perché avevo delle letture arretrate”.
Se nella vostra vita qualche volta avete accarezzato il desiderio di andare a vivere in un faro su un’isola deserta o a guardia di una diga in mezzo ai monti, questo libro fa per voi. Sylvain Tesson, giornalista e grande viaggiatore, a trentotto anni ha messo in pratica questo desiderio di solitudine e per sei mesi, da febbraio a luglio, ha vissuto in una capanna sul lago Baikal, in Siberia.
La solitudine è la conquista che fa ritrovare il piacere delle cose.
Da questa esperienza, ovviamente, è nato il libro, uscito da qualche settimana presso Sellerio. Il lago Baikal, per intenderci, è lungo settecento chilometri e largo settanta, ha una profondità di oltre 1500 metri, per cinque mesi è completamente ghiacciato, per uno spessore di oltre un metro. Tesson si insedia circa a metà del lago, sulla sponda occidentale, mentre il vicinato è costituito da singoli o coppie stanziati tra i 25 e i 70 km e il villaggio più prossimo è a 120 km di distanza. Ha scorte in abbondanza, soprattutto di vodka, niente pc, un telefono satellitare che non funziona, pannelli solari per la luce elettrica, una stufa a legna. Novello Robinson, la sua cronaca è minuziosa, fatta di cose pratiche che scandiscono la giornata (fare legna, pescare con le lenze attraverso buchi nel ghiaccio, spalare neve), escursioni nei dintorni, osservare la natura circostante e soprattutto meditare con l’aiuto di una selezionata biblioteca quasi tutta in tema.
L’utopia della decrescita è un espediente poetico per gli individui che intendono seguire i dettami della dietetica.
Ci mette poco ad acclimatarsi con il luogo e a disciplinare la sua giornata. Riesce ad avere anche un minimo di vita ‘sociale’, alimentata da visite di alcuni taciturni vicini, metereologi, guardiani di miniere abbandonate, in genere vecchi relitti del regime sovietico o di più ancora individui in fuga dalla politica di Putin, tutti compagni di colossali bevute.
Da che deriva la difficoltà della vita sociale? Dal fatto di trovare sempre qualcosa da dire.
Nel periodo più duro dell’inverno (oltre 30° sottozero) Tesson non si allontana molto dalla capanna: la contemplazione mal si concilia con il troppo freddo! Poi però inizia a esplorare la montagna che gli sta alle spalle, risale cascate di ghiaccio, scala pezzi di granito. Il mondo che lo circonda non è esattamente silenzioso. Ci sono le cince, che presto diventano domestiche, ma soprattutto c’è il ghiaccio del lago che manda in continuazione sinistri scricchiolii.
Quando il lago esegue il suo spartito e diffonde schianti e detonazioni, si tratta appunto di questo: è la musica dell’inorganico e dell’indifferenziato, una melodia che sorge dal profondo, la sinfonia del mondo ai primordi.
Kierkegaard, Camus, Baudelaire, Nietzsche, Mishima, Thoreau gli sono compagni abituali, ma anche più prosaicamente Casanova, Defoe, Conrad, Hemingway. Ognuno di loro fornisce elementi di meditazione a Tesson, sia personale che di carattere sociale, che poi però cita Nietzsche a proposito di quei cervelli stanchi che non sanno pensare se “non consultano”.
Con il disgelo, la fauna del luogo aumenta decisamente: arrivano le foche, si avvicinano pericolosamente gli orsi, giungono uccelli di ogni tipo. Al solitario Tesson vengono regalati due cagnetti di pochi mesi, che gli danno non poco da fare. Solo a giugno il lago sarà sufficientemente sgombro dal ghiaccio per percorrerlo in kayak, ma dall’acqua si moltiplicano anche le intrusioni che arrivano a minare la sua solitudine.
Che cosa è la solitudine? Una compagna che serve a tutto.
Con la premessa di cui sopra, il libro è molto godibile. Io in quello spirito mi sono sempre ritrovato, forse per questo l’ho apprezzato molto: immaginate, un eremitaggio con una montagna di libri da leggere (che riempiono qualsiasi vuoto o mancanza…..).
Un eremita non è una minaccia per la società: tutt’al più incarna una critica. Il vagabondo ruba. Il ribelle stipendiato parla alla televisione.
L’anarchico sogna di distruggere la civiltà della quale fa parte. Oggi l’hacker, dalla sua stanza, prepara la caduta delle cittadelle virtuali. Il primo fabbrica bombe artigianali nelle cantine, il secondo scrive programmi ai computer. Entrambi hanno bisogno della società che maledicono.

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