Ho letto “Le abitudini delle volpi” di Arnaldur Indriðason

Era rimasto sveglio nel rudere quasi tutta la notte a pensare a come erano andate le cose prima che lui e suo fratello si mettessero in marcia verso la brughiera.
Non svelo nulla, soprattutto a chi ha già letto almeno un libro di Arnaldur Indriðason, se dico che l’ispettore Erlendur da sempre è tormentato da un episodio avvenuto nella sua infanzia: la scomparsa del fratellino Bergur durante una tempesta di neve. Loro due con il padre erano usciti nella brughiera per tentare di radunare le loro pecore. Erlendur e il padre erano stati ritrovati semiassiderati, del fratello nessuna traccia. Per questo motivo l’ispettore è sempre stato attratto dalle storie di sparizione delle persone, fino al punto di indagare per conto suo, al di fuori delle indagini ufficiali della polizia.
Quando riprende conoscenza ricorda di aver letto di un metodo semplicissimo per valutare il livello di congelamento.
Non è chiaro se in questo romanzo Erlendur prenda ferie o aspettativa dal lavoro. Di fatto si reca e si stabilisce per un certo periodo nel rudere che era stata la loro casa, prima che la famiglia, dopo la disgrazia, si trasferisse a Reykjavik. C’era tornato varie volte nel corso degli anni, ma ora, dopo trentacinque anni, vuole andare fino in fondo alle sue ricerche e cancellare dalla propria testa tutti i fantasmi che la popolano.
Si risveglia di soprassalto da un sogno nel cuore della notte, nel rudere, e guarda intorno a sé nel flebile chiarore della lampada a gas. Non scorge niente nel buio, ma è come se percepisse ancora la presenza del ragazzino che ha visto in sogno.
Parallelamente alla ricerca di tracce di Bergur, Erlendur si impegna nella soluzione di una storia che trae origine addirittura dal tempo di guerra, nel 1942. Allora era misteriosamente scomparsa – sempre durante una tormenta e nella medesima zona – una giovane donna. L’ispettore scava, cerca documenti, interroga i sopravvissuti di allora, sempre in modo non ufficiale. Scopre legami, riapre nella gente del posto dolorose ferite.
Bergur è rimasto parecchio indietro. Erlendur lo chiama. Bergur non sente. Erlendur torna indietro per raggiungerlo.
Nel caso della donna scomparsa nel 1942, Erlendur risolve il mistero. Non è stata inghiottita dalla tormenta, ma uccisa e il movente è, come quasi sempre, la gelosia. Addirittura risolve il mistero della sua sepoltura. Quanto a Bergur….. Si sa che le volpi nel loro girovagare hanno l’abitudine di raccogliere qualsiasi cosa e di portarlo nella loro tana. Dove si trova di tutto.
Le ossa erano due. Non osava toccarle, ma era sicuro del fatto suo. Una era una mandibola. L’altro uno zigomo. Non erano ossa adulte. Appartenevano a un bambino.
Bello e straziante, Le abitudini delle volpi è forse il più bel romanzo di Arnaldur Indriðason. Staccandosi dalla consueta routine investigativa e dalla chiassosa modernità della città, Indriðason si cala nei meandri più oscuri della memoria, tra segreti indicibili e pesanti sensi di colpa, coadiuvato da una natura incredibilmente ostile che si accanisce anche contro un bambino, che perde un guanto nella tormenta ma stringe ancora nel pugno una macchinina rossa.
Conosce il ragazzino che gli ha fatto visita in sogno, sa che è lui stesso.

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