Ho visto “Oh Boy – un caffè a Berlino”

Piccola grande opera prima del tedesco Jan Ole Gerster, film acclamato e pluripremiato in patria, che a molti fa venire in mente la nouvelle vague francese, ad altri il cinema dell’americano Jim Jarmusch. A me ricorda il Wim Wenders prima maniera, non solo per l’uso del bianconero né per l’ambientazione a Berlino. Ma in definitiva ognuno ci può vedere le influenze che gli pare. Non è questo, forse, il bello del cinema?   Svogliato, ormai non più studente, senz’arte né parte, il ventenne Niko (Thomas Schilling) si trascina dal mattino all’alba del giorno dopo alla ricerca di un caffè che non riesce a bere (manca la moneta, il caffè costa troppo, il bancomat non dà risposte, la macchina è spenta o non funziona, il caffè del catering è finito…) mentre si snodano gli incontri: la ragazza ormai ex, lo psicologo della polizia per il ripristino della patente ritirata per ubriachezza, il padre manager non più disposto ad aiutarlo (“Da ora, tutto quello che posso fare per te, è di non fare più niente per te”), il vicino di casa molesto, l’amico attore che lo scuote e lo porta in giro (anche sul set di un film-polpettone sul nazismo!), l’ex compagna di scuola ed ex-cicciona ora attrice che cerca di coinvolgerlo sessualmente, lo spettacolo off in un teatrino underground, i bulli con il coltello e infine un bar notturno con l’anziano ubriaco di turno che gli fa la morale e la cui esistenza termina in un ospedale dove Niko lo ha accompagnato. Paradossalmente, morendo, l’uomo riporta Niko alla vita, dopo un percorso esistenziale che non lo lascerà più come prima. Solo a questo punto, nella vivida luce dell’alba, il ragazzo riuscirà a bere il suo caffè.
Dietro a tutto questo si staglia Berlino, affascinante ma non da cartolina e per certi versi quasi irriconoscibile, mentre tutta la vicenda è sottolineata da un splendida colonna sonora jazz.  Se capita di trovarlo ancora in programmazione, è un film da non perdere.

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