Ho letto “La sfida” di Norman Mailer

E’ sempre uno shock vederlo di nuovo. Non in tv, ma in piedi davanti a te, nella sua forma migliore.
Un libro grandioso, epico direi. Il miglior libro di ambientazione sportiva che abbia mai letto. E non c’è solo il pugilato, con la storica sfida di Muhammad Ali, già Cassius Clay, all’allora detentore del mondiale dei massimi, George Foreman. A far da sfondo è il Congo del 1974, diventato Zaire per volere del dittatore Mobutu.
C’era Big Black, il grosso percussionista nero di Alì. Un reporter gli chiese come si chiamava il suo tamburo e lui rispose che era una conga. Il giornalista scrisse Congo e la censura cambiò il nome in Zaire. Ora Big Black poteva dire nelle interviste che suonava lo Zaire. La scelta di Kinshasa per ospitare il match tra due campioni neri non era stata casuale. Mobutu voleva avviare una gigantesca operazione di immagine per il suo paese e offrire, come recitavano le locandine, un regalo al popolo dello Zaire e un onore per i neri. E gli stessi due pugili, pur partendo da modi diversi di concepire la vita e la politica, convennero che quello era il luogo giusto in cui incontrarsi, al di là della evidente grande incongruenza.
Sì, l’Africa era terra fertile per la follia, e in quella follia africana due pugili avrebbero ricevuto cinque milioni di dollari ciascuno, mentre a soli mille chilometri di distanza i neri colpiti da una carestia di proporzioni mondiali morivano di fame.
Norman Mailer, già scrittore di fama internazionale, allora era inviato per un giornale, un punto di vista privilegiato che gli consentiva di avvicinare entrambi i pugili, vivere con i rispettivi entourage tecnici. Sceglie però di parlare di sé in terza persona, un artificio letterario – l’illeismo – che gli consente un approccio ancora diverso, tra l’altro spiegato molto bene nel terzo capitolo, come acquisire una voce anonima rispetto alla narrazione.
Non solo descriveva gli eventi ai quali si trovava ad assistere, ma anche il piccolo effetto che lui stesso aveva su tali eventi. Ciò irritava i critici. Parlavano di viaggi dell’ego e della dimensione del suo narcisismo. (…) pensò di usare il suo nome di battesimo, come facevano tutti nell’ambiente della boxe. …l’alternativa era scrivere un pezzo senza firmarlo.
Mailer si pone questi interrogativi all’indomani del ritorno a Kinshasa dagli Stati Uniti, dopo che il match era stato rinviato di un mese. Foreman infatti aveva rimediato un taglio alla testa durante un allenamento. Una fortuna per lo sfidante Ali che non era ancora in splendida forma e non lo sarebbe stato neppure al momento dell’incontro.
Combatteva senza spirito. Peggio. Continuava a incassare una serie di pugni che normalmente avrebbe evitato con facilità, e non era da lui!
Mailer prende a frequentare i quartier generali dei due pugili, segue gli allenamenti, conosce gli sparring partner, va alle conferenze stampa. Muhammad lavora più di testa che sul ring, continua a dare l’impressione di pensare ad altro anche se i suoi proclami sono roboanti. Un simpatico, insopportabile sbruffone.
– Mi scusi se non le stringo la mano, – disse, con la sua voce accuratamente smorzata in modo da mantenere il proprio potere, – ma come vede ho le mani in tasca.
Lo scrittore era ben conosciuto da Muhammad, riesce a conquistare la sua fiducia e a partecipare con lui a una seduta di footing. Cosa che il pugile faceva a notte fonda. Mailer si trova così a sfiancarsi dietro al gruppetto e dopo qualche chilometro deve desistere. Allora si rende conto di essere solo, di notte, in aperta campagna, lontano dalle luci. Sente i ruggiti dei leoni provenire dalle rive del fiume Congo o Zaire come adesso viene chiamato.
Non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungere le luci prima che il leone gli arrivasse addosso. Il pensiero successivo fu che se il leone avesse deciso di attaccarlo, lo avrebbe raggiunto in silenzio.
Se Ali continuava a non convincere lo scrittore per le sue modalità di allenamento, Invece Foreman era minaccioso. Il tipo capace di perpetrare una carneficina da incubo. I due sfidanti dalle rispettive sedi continuavano a lanciarsi insulti e provocazioni, così come i loro allenatori, inevitabilmente raccolte e riportate dai giornalisti durante le conferenze stampa. In una di queste Mailer ha un diverbio con un altro fenomeno del giornalismo americano, Don King. I due evidentemente non si amavano.
Gli allenatori dello sfidante erano tal Bundini e il mitico Angelo Dundee, per vent’anni al suo fianco, per proseguire poi con una decina di altri campioni. Aveva lontane ascendenze italiane.
Avrebbe potuto essere scambiato per un uomo d’affari italiano. Era concentrico nella sua sicilianità: lui si trovava nel primo cerchio, la famiglia nel secondo, gli amici e i soci in affari nel terzo.
Ed eccoci all’incontro, diventato leggendario con il nome di The Rumble in The Jungle (La rissa nella giungla) era il 30 ottobre 1974, allo Stade Tata Raphaël di Kinshasa. Ali aveva avvisato Angelo Dundee che aveva una strategia per l’incontro e gli chiese di ‘mollare’ un po’ le corde del ring. Ali introdusse il suo tema principale. Si appoggiò contro le corde a metà del secondo round e per il resto dell’incontro lavorò da quella posizione, inclinato a un angolo di dieci-venti gradi rispetto al piano verticale e a volte anche di più, un angolo sacrificato e doloroso da cui boxare.
Questa strategia passiva fu in seguito denominata da Ali rope-a-dope. Foreman si sfiancò nell’inutile esercizio di piazzare un colpo degno di nota e Ali nell’ottava ripresa passò all’attacco e lo mandò ko. Il pubblico parteggiava per Muhammad e lo sostenne al grido di “Ali bomaye!”, che significa “Ali, uccidilo!”.
Comunque, gran libro!
Sono passati 40 anni e sinceramente non ricordo se quella notte (l’incontro si disputò alle 3 per evidenti esigenze televisive Usa) ero davanti al televisore. So bene invece che incontrai Muhammad Ali/Cassius Clay a Saint-Vincent nel 1980, Festival del Cinema Sportivo. Cassius venne in Italia per ricevere una riproduzione della medaglia d’oro vinta a Roma 1960 e che aveva gettato nel Tevere per protestare per un episodio razziale avvenuto in un ristorante romano. Ricordo di avergli stretto la mano ma il fotografo non fu pronto e io restai al suo fianco mentre un bambino gli passava un fucile giocattolo. Episodio strano!
Ma anch’io posso dire, parafrasando Fiorello: “Eravamo io, Cassius Clay, Gianni Minà, Sandro Pertini…..”

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