Ho visto “Perfidia” di Bonifacio Angius

Scelto come unico film italiano in concorso al Festival di Locarno 2014, ho avuto l’opportunità di vederlo in anteprima in streaming grazie a MymoviesLive. E’ l’opera seconda di un trentaduenne di Sassari, Bonifacio Angius, da un decennio dedito a realizzare cortometraggi ispirati dalla sua terra. Anche in questo caso il film è ambientato a Sassari, ma per la tematica affrontata lo si può assumere come specchio di un disagio giovanile nazionale. Angelino ha 35 anni e vive con il padre Peppino, dopo la morte della madre. Di fatto figlio e genitore quasi non si conoscono.  Emblematico è un dialogo in cui Peppino interroga ‘Angelì’ sulle sue attitudini, sui sogni e desideri di un giovane introverso che non ha mai lavorato. Il padre, uomo sfiduciato pure lui, tenta di stimolare il figlio: gli procura prima un lavoro da manovale in un cantiere, poi tenta di introdurlo in un ufficio. Tutto inutile: Angelì non ha velleità e trascorre le giornate in un bar con altri sfaccendati come lui oppure ascolta una radio che trasmette in continuazione prediche religiose. E’ un angolo di Sardegna grigio e triste anche se non lontano da scorci di mare che potrebbero essere suggestivi. Tutto cambia quando Peppino ha un ictus e rimane in stato vegetativo su una carrozzella. Il figlio rifiuta il ricovero in una struttura e se lo porta a casa, dove inizia ad accudirlo con ogni cura. Per qualche tempo attira l’attenzione di una giovane, ma è così maldestro nei rapporti con le persone che se la lascia scappare. La solitudine si acuisce anche con il distacco da quei pochi amici che frequentano il bar e il fervore con cui accudisce il padre non è sufficiente a fornirgli sufficienti stimoli per tirare avanti. Inoltre nella sua mente disturbata rimbombano le parole che ascolta in quella radio e che interpreta e metabolizza a modo suo: si ritiene un ‘buono’ che Gesù ha abbandonato a se stesso mentre invece è occupato a far diventare ‘buoni’ i ‘cattivi’.
Stefano Deffenu  e Mario Olivieri, entrambi esordienti, disegnano in maniera intensa Angelino e Peppino. Molto efficace la fotografia di Pau Castejón Úbeda.
Film figlio della crisi che attraversano moltissimi giovani d’oggi? Di certo Angelino non è un bamboccione secondo l’accezione della Fornero e neppure mi sento di etichettarlo con il termine piemontese ‘fagnan’ (scansafatiche). Molto più profondo è il suo malessere che la società nel suo complesso, la famiglia in primis, non è riuscita a comprendere e di certo la European Youth Guarantee di qui non è passata. L’Italia all’epoca di Renzi è anche questa. Mi auguro che dopo Locarno il film riesca a trovare una distribuzione perché, proprio per la sua durezza, merita di essere visto per capire meglio gli anni in cui stiamo vivendo.

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