Ho visto “La vita oscena” di Renato De Maria (Venezia 71)

Fino a quando i genitori sono vivi l’adolescente Andrea ha una vita felice e un rapporto addirittura giocoso sia con la madre che con il padre. Poi la madre (Isabella Ferrari) si ammala di cancro, ma è il papà (Roberto De Francesco) a morire prima. Stroncato da un ictus.
Rimasto solo, anzi solissimo, Andrea è come se litigasse con la vita. Prova in tutti i modi a morire, ma ha già smesso di vivere. Appassionato di poesia, viene sorretto dalle istituzioni scolastiche che gli trovano un posto all’Università di Milano. Ma continua a perseguire il suicidio, cercandolo però con un certo ordine: alcol, droga, psicofarmaci. Suo modello è il poeta austriaco Georg Trakl, morto per overdose di cocaina nel 1914 a 27 anni. Andrea investe una somma in cocaina che dispone sul pavimento attorno alla propria silhouette e giorno dopo giorno tira su. La sua casa è un disastro di sporcizia e disordine come può esserlo solo quella di chi non ha a cuore la vita. Intanto scende tutti i gradini della dissoluzione, sesso in tutte le varianti possibili, una prostituta giovane, due vecchie battone insieme, un giovane omosessuale, un trans, il trattamento masochista. Scampa alla morte e da queste esperienze esce infine come ripulito e con una nuova e insolita voglia di vivere: si salva con la scrittura. Lo salva la poesia. Con il suo inseparabile skateboard che lo ha accompagnato per tutta la vicenda.
La vita oscena è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico (Einaudi, 2010) di Aldo Nove, che ha partecipato alla sceneggiatura. Non l’ho mai letto, per cui non posso dire se quanto di osceno vi è contenuto è opportunamente e fedelmente riportato sullo schermo. Certo che a volte certe vicende, per quanto affascinanti e perturbanti, sarebbe meglio lasciarle sulle pagine scritte. Apprezzo però lo sforzo del regista De Maria di dare immagine, con un assortimento di effetti speciali, alle visioni, ai deliri, alle allucinazioni del ragazzo. Corre il rischio di cadere nel fumettone psichedelico, ma il risultato è interessante.
Il giovane interprete è  Clément Métayer, ventenne dal volto interessante e astro nascente del cinema francese. Per lui tuttavia c’è pochissima recitazione, in quanto i dialoghi sono quasi azzerati (lo stesso vale per Ferrari e De Francesco) per lasciare spazio al narrato fuori campo. La voce, perfettamente calzante, è di Fausto Paravidino. Direttore della fotografia è Daniele Ciprì, il montaggio di Jacopo Quadri. Attorno al film (coprodotto da Riccardo Scamarcio e dalla stessa Isabella Ferrari) si sta formando un movimento di opinione per sostenerne la distribuzione. Ma anche no. Venezia 71, sezione Orizzonti.

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