Ho letto “L’enigma di Flatey” di Viktor Arnar Ingolfsson

Il mare tra un’isola e l’altra era blu e piatto come uno specchio, tranne nei punti in cui le correnti formavano mulinelli, nei brevi tratti fra le coste e i fondali bassi.
Flatey è la seconda isola per dimensioni nella baia del Breiðafjörður, nell’Islanda nord-occidentale. Misura 2 km di lunghezza per uno di larghezza ed è completamente piatta (flat, da cui il nome). Da wikipedia apprendo che gli abitanti permanenti sono solo 5. Nel romanzo, scritto nel 2002 e ambientato nel 1960, sono diverse decine. Altra particolarità è il Flateyjarbók (il Libro di Flatey), un importante manoscritto islandese medievale. E’ composto  da 225 fogli di pergamena scritti ed illustrati e contiene soprattutto saghe di re, storie di viaggiatori, leggende nordiche, testi sacri. Nel corso dei secoli il Libro di Flatey è stato conteso tra la Danimarca e l’Islanda, fino a trovare definitiva collocazione in un museo di Reykjavík. Resta da dire che ogni islandese è depositario di pezzi di storia legati al libro, con un’infinità di varianti che ne fanno una grande memoria collettiva condivisa.
Anche in questo caso sarà come sempre: tra due rivali, è raro che uno solo abbia ragione.
Viktor Arnar Ingolfsson costruisce su queste premesse un avvincente romanzo giallo che vede il ritrovamento del cadavere di uno sconosciuto su un’isoletta deserta, frequentata talvolta soltanto da cacciatori di foche e raccoglitori di piume di ededrone. L’uomo aveva in tasca un foglio con 39 lettere dell’alfabeto, ciascuna corrispondente alla risposta a una delle 40 domande di un antico enigma, rimasto irrisolto, legato al Libro di Flatey. A indagare sul cadavere viene inviato un rappresentante del prefetto, Kjartan, un avvocato non un vero poliziotto, che è affiancato da Grimur, ufficiale di distretto di Flatey. Il maestro, il prete, il sacrestano, la dottoressa del villaggio, suo padre studioso di libri antichi ma ormai quasi in fin di vita, alcune famiglie di pescatori, sono gli altri personaggi che popolano questo povero microcosmo. Poi arriva Bryngeir, il classico giornalista ubriacone e rompicoglioni e comincia a fare domande per conto suo. Presto però viene trovato morto anche lui, accasciato su una tomba nel cimitero, con la schiena spaccata e aperta, da cui sono stati estratti i polmoni e lasciati a formare delle specie di ali rosse.
La messa in scena richiama una delle leggende islandesi, in cui a un gigante cattivo viene intagliata un’aquila di sangue sulla schiena. Frattanto il cadavere sconosciuto è stato identificato. Si trattava di un illustre professore danese, che non dava notizie da tempo, anche lui appassionato del famoso libro e delle storie in esso contenute.
E mi fermo qui. I miti nordici hanno sempre avuto un fascino particolare. Insieme a quei paesaggi spettacolari ma inospitali (se non per la ricchissima fauna che vi nidifica) costituiscono lo sfondo ideale per ambientarvi un thriller.
Pubblicato nel 2012 (traduzione dall’islandese di Alessandro Storti) dalla superspecializzata in letterature nordiche Iperborea.
Ora non gli restava che ripassare le risposte alle trentanove domande per vedere se  componevano la fine del poema attraverso la chiave.

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