Ho letto “Americani” di John Jeremiah Sullivan

E’ un libro che contiene dodici reportage altamente stimolanti sull’America di oggi, con uno sguardo retrospettivo e un occhio rivolto al futuro. John Jeremiah Sullivan è uno scrittore e giornalista quarantenne del Kentucky. Dalla critica è stato avvicinato a David Foster Wallace. Per la mia esperienza, ricorda però il bel libro di Chuck Palahniuk, altro dei miei scrittori preferiti, in cui aveva raccolto articoli e brevi saggi, La scimmia pensa, la scimmia fa (2004). Oggi come allora, negli Stati Uniti, la realtà supera la fantasia!
Anche le storie narrate da Sullivan hanno dell’incredibile. Ne voglio ricordare alcune che mi hanno particolarmente colpito. 

Su questo rock
Sullivan viene inviato a scrivere di un festival in Missouri, dove si danno appuntamento le più importanti band di rock cristiano, il cosiddetto Christian Rock. Per tre giorni vive un’esperienza allucinante in mezzo a gente invasata, in gran parte giovanissimi. Per recarvisi affitta un camper che rimane impantanato e poi viene spinto a forza di braccia in cima a una collina da un gruppetto che gli è diventato amico. Al festival prende appunti e ascolta musica tutto il giorno, con band anche di una certa fama che si rivolgono a un pubblico assolutamente predisposto a essere ‘toccato’. E’ l’America delle sette e per Sullivan è come un viaggio mistico.
E tra i seguaci di Gesù ce ne sono parecchi di spostati. Evidentemente a Lui piacevano così.
Mr. Lytle
Non avessi letto questo libro non avrei mai saputo dell’esistenza di uno scrittore americano di nome Andrew Nelson Lytle (1902-1995) appartenente al movimento dei poeti Robert Warren e Allen Tate, i Fugitive Poets. Sullivan è stato suo apprendista quando era già molto vecchio. Voleva imparare a scrivere da lui e si è installato a casa sua. Dormiva nella cantina. Leggevano molto insieme e Sullivan gli sottoponeva i suoi scritti che Lytle tagliava ferocemente. Era un vecchio dispotico e ormai prossimo alla demenza senile. Sullivan da discepolo si era trasformato in una sorta di badante.
La sera sedeva da solo, quasi sempre a rivangare scontri quarantennali con nemici letterati morti, interpretando entrambe le parti come una pièce per un solo attore, a volte con urla selvagge, picchiando a terra col suo bastone.
Un vecchio letterato del Sud attraverso il quale si era procrastinata l’epopea della Confederazione. Sullivan assiste alla sua morte e con altri studenti ne inchioda la bara.
In un rifugio (dopo Katrina)
Agli eventi apocalittici negli Stati Uniti siamo abituati attraverso le immagini televisive. Qui Sullivan si reca in Mississippi per descrivere i disastri causati dal famoso uragano Katrina nel 2005. Il rifugio della Croce Rossa di Gulfport è la sua base per raccogliere le testimonianze della gente. La cosa che lo ha colpito maggiormente sono state le code delle auto – letteralmente chilometriche – per cercare di fare benzina. Come se con un pieno di carburante potesse ritornare normale la vita.
In tutti i film sulla guerra nucleare che ci hanno danneggiato la psiche da bambini, non c’era sempre una scena in cui le persone aspettavano in fila per quel poco di benzina che era rimasto? Eccoci in quella scena.
Il mondo reale
Non poteva mancare tra i reportage di Sullivan uno sul mondo della televisione o meglio dei reality show e su ciò che li circonda. Così si reca sul set di The Real World, un programma di Mtv e invita a cena tre star: Miz, Melissa e Coral.
Ero curioso di vedere se erano reali. Se tutti questi anni passati a essere se stessi per lavoro li avevano lasciati con abbastanza se stessi, o se avevano cominciato a sconnettersi dall’esistenza.
Soprattutto gli interessa sapere se dietro i reality ci sono dei burattinai che istigano il ‘dramma’ e li paragona ai party dell’ultimo anno di college, quando l’unica cosa che contava era essere giovani, fichi e americani. Insomma il reality è come un party che non finisce mai.
Michael. L’ultima volta di Axl Rose. L’ultimo dei Wailers.
Metto insieme i tre capitoli sui musicisti che costituiscono il nucleo centrale e più corposo del libro. Per capire Michael Jackson, John Sullivan scava nel suo albero genealogico e poi si sposta sull’infanzia e l’adolescenza dell’artista. Poi si dilunga sulla volontà di Jackson di capire l’anatomia della musica. Arrivano i successi. Quindi si avvicina alla sua vita privata.
E’ strano scrivere di qualcuno sapendo, ma senza saperlo davvero, che potrebbe essere stato un molestatore infantile seriale.
Per indagare nella vita di W. Axl Rose, leader dei Guns N’ Roses, Sullivan si reca nella sua città natale, Lafayette, stato dell’Indiana,
L’Indiana centrale? E’ come dire: “Dove sei?”. Boh, non c’è niente. “Ecco, sei arrivato”.
Axl ha avuto una giovinezza turbolenta ed era sempre nel mirino della polizia. Sullivan va a curiosare nella casa dove è cresciuto, visita la scuola, consulta gli annuari scolastici, ricostruisce le sue malefatte attraverso i verbali di polizia, ascolta amici e conoscenti. E’ il lavoro un po’ voyeuristico di chi vuole ricostruire la storia di una celebrità.
I Guns N’ Roses non sono mai diventati obsoleti. Si sono disintegrati.
Per il terzo appuntamento Sullivan vola in Giamaica sulle tracce di Bunny Wailer, colui che diede il nome alla band di Bob Marley, The Wailers appunto. Ne scaturisce un reportage a tinte forti, perché Bunny vive ritirato come un santone – in parte in effetti lo è – ed è inavvicinabile se non grazie ai buoni uffici di qualcuno del suo entourage. Inoltre in quel periodo la Giamaica è in rivolta e l’articolo si sofferma sulla situazione politica locale. Infine riesce a incontrare il vecchio musicista, complice l’omaggio di una congrua dose della migliore erba, e a farsi raccontare l’epopea di Bob Marley and The Wailers e la filosofia rasta. L’uso non autorizzato di una sua foto per una rivista ha però rovinato i rapporti tra il giornalista e il musicista.
Mi ha chiamato “ras clot” e “bumba clot”, i peggiori insulti che possa fare un giamaicano. Non sono sicuro al cento per cento di cosa voglia dire, ma hanno a che vedere con uno straccio da culo o un assorbente usato.
Devo dire ancora che è stato bellissimo leggere questi articoli avendo a fianco un tablet con Spotify da cui ascoltare in tempo reale tutti i brani che venivano citati.
La-hwi-ne-ski: la carriera di un naturalista eccentrico
Neppure Constantine Samuel Rafinesque (1783-1840) conoscevo. E’ stato un personaggio eclettico, botanico, naturalista, geologo, geografo, linguista, storico, poeta e tante altre cose e soprattutto ha anticipato le teorie di Darwin. Sullivan ne ripercorre la vita attraverso gli scritti che ha lasciato. Quello di Rafinesque era …il destino dei geni smarriti nel tempo, araldi di false aurore. Il suo splendido cervello umano non era tagliato per l’Ottocento. Era un uomo del Settecento. Davvero un personaggio incredibile, di un sapere infinito, ma troppo frammentato e assolutamente non organizzato rispetto agli scienziati rivali.
Inquietante saggio sul futuro della razza umana in rapporto con il mondo animale è La violenza degli innocenti. Sullivan visita alcuni centri studi americani in cui si osservano i comportamenti di alcune specie animali che hanno cominciato a fare cose che non gli abbiamo mai visto fare. Cita un’imponente casistica di aggressioni nei confronti dell’uomo, anche in forme organizzate. Secondo questi studiosi dobbiamo attenderci – tra quanto, secoli, decenni? – attacchi dai delfini, animali intelligenti ma capaci di odio, o un assalto combinato orso-scimpanzé. Preoccupante e da non archiviare frettolosamente sotto la voce fantascienza.
Americani è tutto da leggere, pieno di cose molto interessanti.

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