Ho letto “Gli inquilini di Dirt Street” di Derek Raymond

La vita reale, come sempre, era l’opposto di quello che uno si immaginava.
Non so come collocare Robert William Arthur Cook (1931 –1994), vero nome di Derek Raymond. Se appartenente alla Beat Generation di Burroughs, Ginsberg, Corso, Orlovsky, che pure frequentò al Beat Hotel di Parigi negli anni ’50, prima di ritornare nella natia Londra. Oppure come esponente del genere noir britannico, con un involontario  accento di letteratura dandy. Di certo molti scrittori postmoderni e trasgressivi gli devono qualcosa. Quelli come Chuck Palahniuk e Don DeLillo, oserei dire. Forse però non ho cominciato dal migliore dei suoi lavori (in Italia tutti editi da Meridiano Zero), ma questo The Tenants of Dirt Street (1971), come spesso capita, mi è finito tra le mani casualmente. Suddivido il libro in due metà. Nella prima parte si racconta la vita di Lord Eylau e della sua famiglia. La mamma: Era nata nel denaro e nel mondo ordinato a cui il denaro stesso aveva dato vita. Lui, Johnny Eylau, cresce e viene educato nelle migliori istituzioni, quelle che si convengono ad un futuro lord. Tuttavia, già da giovane, manifesta qualche problema: …il ragazzo soffre di attacchi di angoscia e sensi di colpa morali…che spesso avvengono in pubblico e turbano l’atmosfera dell’intero convitto…
Anche perché l’esempio del padre non è stato dei migliori rispetto alla formazione del ragazzo: Nell’ultimo periodo aveva fatto la pessima scelta di chiudersi a Eylau, scialacquare l’intero patrimonio disinteressandosi delle proprietà e degli investimenti, chiedere prestiti agli strozzini, e poi mettere fine ai suoi problemi a quel modo, con un fucile da caccia, senza preoccuparsi di chi sarebbe rimasto.
Poco prima di spararsi nello studio di casa, Lord Eylau padre comunica all’adolescente Johnny che, titolo di lord a parte, non gli avrebbe lasciato neppure una sterlina e come consiglio per la sua vita futura: tu hai un titolo nobiliare, o per lo meno lo avrai tra poco: fallo fruttare. Sposati per i soldi.
Così il giovane lord comincia a frequentare i bassifondi di Londra, pub e bar malfamati… nel tentativo di rendere tollerabile la propria esistenza ricorrendo a una serie di catarsi alcoliche. Con le donne ha anche delle relazioni serie (…a letto Lord Eylau era una furia – come se, per compensarlo delle esperienze che lo avevano reso una persona fredda, la vita lo avesse dotato di una florida e insaziabile verga…) che però non durano a causa della sua perenne ubriachezza. E proprio per il suo stato etilico una domenica Johnny dà scandalo in chiesa durante una funzione religiosa. Da buon pastore delle anime, il vicario Aynsham se lo porta a casa per pranzo.
…era il pranzo più bizzarro cui avesse mai partecipato: un misto di amore, disprezzo, allegria, agnello arrosto e salsa di cipolle, figli adolescenti disadattati e chi più ne ha più ne metta.
Da qui la seconda parte. Lord Eylau è fortemente attratto da Helen, la moglie cieca del vicario Aynsham, ansiosa di liberarsi del marito e dei due figli drogati e finalmente iniziare a vivere….l’unica cosa per cui valeva la pena soffermarsi sul corpo della donna era il suo passionale desiderio di essere preso.
Ma Johnny e Helen per campare non trovano altro che entrare a far parte dell’impero del vizio di Soho, la Amalgamated Vice Ltd, una società che sfrutta le debolezze umane per creare sempre nuove e originali perversioni. Diventano così conduttori di uno dei bordelli della società. La donna cieca ha evidentemente nel DNA la passione per i giochini infernali e si cala subito nella parte, mentre il compassato, malinconico, decadente e soprattutto alcolico Lord Johnny Eylau fatica a essere all’altezza del compito.
E’ difficile essere un bravo magnaccia se ti hanno cresciuto ogni giorno a pane e ostie e a scuola sei pure stato scelto per l’equipaggio del ‘quattro con’.
Quanto accade nei bordelli del gruppo – che si chiamano Indiani e Cowboy, Le Petit Trianon, Casa degli Scolaretti… – frequentati da gente danarosa, governatori, senatori, diplomatici, petrolieri, è facilmente immaginabile. Il finale è imprevedibile e scoppiettante, all’insegna della dissolutezza. Romanzo fortemente grottesco e corrosivo.
“Non puoi immaginare quanti danni possano causare le persone, deboli, miti, gentili”.

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