Ho visto “Interrogation” di Vetri Maaran (India) – Biennale di Venezia 2015, Orizzonti 72

Una didascalia conclusiva afferma che in India il 30 per cento delle indagini si conclude come abbiamo appena visto nel film. E se lo dice un regista indiano c’è da crederci. La morale è che un colpevole deve essere trovato per forza, anche se colpevole non è. Ne hanno bisogno la politica, l’opinione pubblica attraverso la stampa e la stessa polizia per dimostrare la propria efficienza. E dove si va a cercare il colpevole, nella fattispecie di un furto in un’abitazione dell’alta borghesia? Naturalmente tra gli ultimi della società, un gruppo di immigrati di etnìa tamil giunti nello stato di Andhra Pradesh in cerca di lavoro. Sono Pandi, Murugan, Afsal e Kumar, arrestati dalla polizia locale e torturati per diversi giorni per far loro confessare un crimine che non hanno commesso. Infine cedono e vengono portati davanti a un giudice, dove un poliziotto che ha la loro stessa origine fa da interprete con la corte. Dimostrando che con le percosse subite la dichiarazione iniziale è stata estorta, riescono ad ottenere la libertà. Ma il poliziotto amico chiede in cambio un aiuto per sequestrare un influente personaggio politico tamil, prossimo alle elezioni. E’ un complotto interno alle istituzioni in piena regola. Per i quattro tamil sarà l’inizio di nuovi guai. Involontariamente assistono alla violenza sul politico e alla successiva morte, avvenuta proprio nella centrale di polizia. Un caso imbarazzante per la polizia che deve sbarazzarsi del cadavere, simulando un suicidio e soprattutto deve eliminare gli involontari testimoni. Anche il poliziotto tamil farà la stessa fine, ma la sua morte verrà messa in conto ai delinquenti e sarà celebrato come un eroe di fronte allo Stato.
Il film è tratto dal libro Lock Up, scritto da Kumar l’unico dei quattro a essere sopravissuto alla vicenda. Oggi è un attivista dei diritti umani nel Tamil Nadu. Libro e film costituiscono un potente atto d’accusa nei confronti della brutalità della polizia (le immagini delle torture sono agghiaccianti) e dell’inadeguatezza della giustizia in India, anche se in questo caso sono proprio i giudici a mostrare obiettività e un briciolo di umanità. Mi ricorda il film presentato lo scorso anno, sempre a Venezia Orizzonti, Court di Chaitanya Tamhane, che descriveva una giustizia impotente e malata, ma giudici tutto sommato umani.

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