Ho letto “Canto della pianura” di Kent Haruf

L’aria era ancora fresca, odorava di letame di cavallo e alberi ed erbacce secche e polvere nell’aria e qualcos’altro che non avrebbero saputo definire.
Il primo della trilogia è stato Benedizione. In Canto della pianura non troviamo più Dad Lewis, sua moglie Mary e la figlia Lorraine. E nessuno degli altri personaggi.
La cittadina però è sempre Holt, toponimo inventato del Colorado che è divenuto un posto ben preciso, tanto è vero che l’editore NNE ha dovuto creare una mappa con le case, le strade, i luoghi dei tre romanzi che impreziosice il cofanetto a tiratura limitata creato apposta per le vendite natalizie. Per chi ha letto Kent Haruf, romanziere americano deceduto nel 2014, Holt è un luogo del cuore. Il modo di scrivere è sempre lo stesso: manca completamente l’interpunzione che delimita i discorsi diretti. Ma ci si abitua in fretta. Poi, le storie sono tante quanti i personaggi e tutte si intrecciano fra loro.
Holt non è il migliore dei mondi possibili. Anche qui c’è il buono e il cattivo e ci sono i personaggi negativi. Però c’è un profondo senso della comunità, tanto che il denominatore comune dei tre libri, senza tuttavia avere alcunché di religioso, pare essere il francescano “mi prendo cura di te”: c’è sempre qualcuno che fa qualcosa per gli altri. La figura principale è Tom Guthrie, insegnante al liceo, che si occupa dei figlioletti perché la moglie, fortemente depressa, passa le giornata al buio chiusa in camera sua. I suoi bambini, Ike e Bobby, prima di andare a scuola al mattino presto distribuiscono a tutto il paese i quotidiani che arrivano con la ferrovia. Dopo la scuola aiutano una vecchia che vive sola.
Si divisero e ciascuno partì per il proprio giro. Tra uno e l’altro coprivano tutta la cittadina. Bobby si occupava della parte più vecchia e benestante di Holt… Ike invece girava per i tre isolati a destra e a sinistra di Main Street, i negozi e gli appartamenti bui sopra i negozi, e anche per la zona nord della città, al di là della ferrovia…
I due vecchi allevatori Raymond e Harold McPheron che vivono nella loro fattoria a diverse miglia da Holt accolgono in casa Victoria Roubideaux, una sedicenne che ha scoperto di essere incinta e che la madre ha cacciato. La ragazza va ancora a scuola ed è stata aiutata da un’altra insegnante, Maggie Jones. Ma guardate con quale timidezza e tenerezza due vecchi scapoli che nella loro vita non hanno visto altro che giovenche, tori e cavalli affrontano la gravidanza della loro ospite!
La porta all’altro capo della stanza era chiusa. Dopo cena lei era andata in camera sua e i due fratelli non l’avevano più sentita. Non sapevano più cosa pensare. Fra sé e sé si domandavano se tutte le ragazze di diciassette anni sparissero in quel modo dopo aver cenato.
E così via, le varie storie si intrecciano e compongono un quadro di una bellissima umanità. Perché è la vita: si sbaglia, si cade, ci si rimette in piedi. E spesso c’è qualcuno che disinteressatamente ti tende una mano. Le pagine che riguardano gli animali fanno da cornice alle vicende umane: la selezione delle mucche gravide, la nascita di un vitellino, la morte di un cavallo e la sua autopsia, a cui assistono anche i due fratellini, così vera che richiama alla memoria La lezione di anatomia di Rembrandt.
Intanto, vicino ai recinti, i fratelli McPheron e Guthrie guardavano il bestiame e i vitelli al di là della staccionata. Fra loro c’era la vacca dalle zampe rosse. Guthrie la notò. La vecchia mucca lo fissava astiosa.
Ritroveremo tutti i personaggi nel terzo titolo della trilogia, Crepuscolo. Non sarà il crepuscolo della vita perché tra nascite e morti la vita a Holt continua. Purtroppo però non ci saranno altri romanzi.

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