Ho letto “Alex” di Pierre Lemaitre

Seconda puntata delle inchieste del comandante Camille Verhoeven (mai chiamarlo commissario, anche se il grado preciso sarebbe quello). E’ un poliziotto particolare, la cui altezza (1,45 m) è inversamente proporzionale alla sua durezza e al suo intuito. Mai scherzare con lui su questo attributo né sul fatto che è costretto a guidare un auto con i comandi al volante.
Quando ha tempo cerca di affrontare i problemi partendo da lontano, è il suo metodo.
E’ passato qualche anno da quando ha perso la moglie e il figlio che stava per nascere (Irène): In quattro anni è invecchiato, ma non ha perso la sua spregiudicatezza. A volte è un pericolo pubblico per la gerarchia.
In questo romanzo è stata rapita una giovane donna dopo essere stata selvaggiamente picchiata. Nessuna traccia, nessun indizio, solo un furgone bianco (nei polizieschi e anche nella realtà c’è sempre un furgone bianco, chissà perché… La banalità del caso, forse) che è stato visto sul luogo del rapimento. Lemaitre alterna i capitoli in cui la polizia svolge le indagini a quelli in cui è descritta la prigionia della ragazza, Alex appunto, reclusa in una gabbia di legno sospesa a delle corde a due metri da terra dentro una fabbrica abbandonata, completamente in balìa del suo potenziale assassino. La sua è una lotta per la sopravvivenza, nell’impossibilità di muoversi, soffrendo la fame e la sete e cercando di difendersi dagli assalti di grossi topi famelici. Ma il lettore non fa in tempo a simpatizzare con la vittima che questa si trasforma in qualcosa di diverso. Intanto Alex riesce a fuggire e quando Verhoeven con i suoi uomini, Armand e Louis, farà irruzione nel vecchio stabilimento non troverà che i resti della gabbia sfasciata a terra e qualche ratto stecchito.
Alex abbruttita dagli stenti. Nemmeno il tempo di realizzare quello che è realmente accaduto. Ma chi è veramente Alex? E chi è il suo sequestratore? Sul prosieguo delle indagini Camille Verhoeven, sempre protetto dal suo capo Le Guen, si scontra più volte con il giudice ma fa sempre di testa sua. Il giudice Vidard è molto contento. Come tutti gli uomini vanitosi, quello che deve al caso, alle circostanze, lo attribuisce al proprio talento.
Alex e Camille sono i due poli del romanzo: alternandone le storie Lemaitre dà molta incisività alla narrazione, che pure vive di continui colpi di scena. L’obiettivo di salvare la vittima di un rapimento si trasforma nella ricerca spasmodica di un’assassina che sta disseminando di cadaveri mezza Francia. Quale connessione tra loro? La soluzione è nell’identità della ragazza.
Lemaitre ama la letteratura a 360° e anche in questo noir i segreti della protagonista sono racchiusi tra le pieghe dei libri letti e sottolineati da Alex, i cui autori sono ringraziati alla fine del libro: Aragon, Barthes, Dostoevskij, Pasternak, Proust, Marìas…
In fondo all’ufficio Camille continua ad ascoltare. E disegna. Sempre a memoria. Il viso di Alex, più o meno a tredici anni, sul prato di casa in Normandia, in posa con l’amica...
Un modo diverso per entrare nelle indagini e nella psicologia delle persone.
Al secondo libro amo già questo poliziotto che ha un innato senso del disegno ereditato da una madre pittrice il cui tabagismo gli ha lasciato l’ipotrofia fetale. Ci fa ricordare il personaggio di De Andrè, quel giudice che si ribella alla propria statura (Fu nelle notti insonni vegliate al lume del rancore/Che preparai gli esami, diventai procuratore).

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