Ho letto “Una primavera difficile” di Boris Pahor

Non è forse un relitto, ormai, quel che resta di un uomo dopo il diluvio universale?
Grande vecchio della letteratura europea (non solo slovena) Boris Pahor si avvia a compiere 107 anni ed è ancora lucido. È un prezioso testimone del Novecento e della sua barbarie, dei campi di concentramento e dello sterminio nazista, dell’antifascismo militante, delle foibe, della questione triestina e dell’Istria, un intellettuale a tutto tondo, cattolico e mai comunista, con la scomodità di essere italiano e nello stesso tempo cantore della cultura slovena. Avevo letto Dentro il labirinto, scritto nel 1985 ma tradotto e pubblicato in italiano soltanto nel 2011, che considero un capolavoro assoluto.
Qui ritroviamo il protagonista Radko Suban – l’alter ego di Pahor – al ritorno dalla sua via crucis nei lager di Dachau, Bergen-Belsen, Harzungen, Natzweiler-Struthof, Dora Mittelbau. Alcuni di essi erano riservati ai ‘triangoli rossi’, i deportati politici, come Pahor. Alla Liberazione nel maggio 1945, dall’ultimo lager in Alsazia, Suban viene mandato nel centro di accoglienza della Croce Rossa a Parigi. Lì viene visitato, rivestito e, malato di tubercolosi, inviato ad un sanatorio poco distante dalla capitale. Una primavera difficile (Spopad s pomladjo – 1978) racconta i suoi tentativi di ricomporre i frantumi di un’umanità spezzata con il suo ritorno alla vita nel nosocomio francese. Ma la sensazione di abbandono e solitudine è costantemente presente, come il ricordo del mondo dei lager: Era come se l’aura del nulla universale intensificasse la sua stanchezza, avvolgendola al tempo stesso nel silenzio di una pace eterna. Tuttavia l’oggi chiama: i compagni di stanza, reduci di ogni credo politico e religioso, il refettorio, i medici, le cure, i controlli, le infermiere, mentre la radio continua a diffondere l’elenco degli scomparsi. Proprio una delle infermiere è fondamentale nel suo percorso di recupero. È la giovane Arlette con la quale intreccia una storia. Li seguiamo dalle prime schermaglie fino all’amore più intenso e impossibile. In un altro contesto potrebbe sembrare un normale romanzo d’amore. Ma la vita di Radko è un continuo dormiveglia nel quale si inseriscono le immagini della distruzione che ha vissuto, i ricordi della persecuzione degli sloveni, la Trieste abbandonata raccontata dalle lettere che gli giungono dalla sorella. Nei lager faceva il portantino: Aveva soltanto trascinato all’aperto per alcuni mesi gli scheletri con i loro pagliericci. ...una rosa di fuoco sopra il camino. Fioriva nella notte come fosse stata sospesa nell’aria fra i monti e non sarebbe appassita finché nel deposito sotto il camino si fossero trovate scorte di combustibile umano, difficili da eliminare in altro modo. Ora però ha bisogno della natura, nascondersi nell’oscurità di un bosco per ritrovare il suo passato. Prima le passeggiate solitarie, poi quelle con Arlette. Così riesce a sconfiggere le ombre. Anche uscire dal sanatorio e recarsi a Parigi è un ritorno alla vita: Pigalle, Montmartre, Clichy, gli Champs-Élisées. La presenza di Arlette è positiva anche per uno scambio di pareri sulle letture durante le pause dei loro amplessi: Romain Rolland, Gide, Colette, Ernst Wiechert, Eugène Dabit, Panaït Istrati. Autori e titoli, per me nuovi spunti da approfondire.
L’amore rende liberi ma anche schiavi, pensa Radko, perciò bisogna contare su di esso quando rende liberi. Partire quando la guarigione si avvicina, avere Arlette ed essere solo con i propri libri e l’amore di lei? Tuttavia il passato costituirebbe, ancora e sempre, il suo assillo quotidiano, ma ben nascosto, come le gallerie invisibili che la talpa scava sotto il prato, nell’oscurità.
Il cammino è ancora lungo ma la strada per il ritorno alla vita è già tracciata. Arlette sarà costretta dai genitori a sposare un facoltoso connazionale. Ma come vedremo in Dentro il labirinto, tra i due si creerà una fitta, intensa e affettuosa corrispondenza.
L’essenza del pianto. Il volo dissennato di un uccello al quale hanno rapito i piccoli. E tutto questo lui lo aveva avuto a portata di mano. E invece di apprezzarlo, di prenderlo su di sé, l’aveva ignorato.

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