Ho visto “Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà” di Ken Loach

Ken Loach torna a occuparsi dell’Irlanda, dopo la Palma d’oro al Festival di Cannes del 2006 per Il vento che accarezza l’erba, con una storia basata sulla vicenda di Jimmy Gralton, un carismatico attivista politico di simpatie comuniste del periodo di Éamon de Valera (siamo nel 1932). Nativo di Effrinagh, nella Contea di Leitrim, Gralton era emigrato negli Stati Uniti dove aveva fatto diversi umili mestieri per tornare poi in patria ad aiutare la madre anziana nei lavori di campagna. Nel suo piccolo villaggio e in tutta l’Irlanda ritrova la situazione che aveva lasciato: povertà estrema, mancanza di lavoro, tensioni sociali, con la politica e l’ordine pubblico condizionati dalle posizioni della Chiesa d’Irlanda. A furor di popolo gli viene chiesto di ripristinare una sala da ballo, la Pearse-Connolly Hall, che fino a dieci anni prima era stata il punto di riferimento della gioventù del luogo. Detto fatto, per mano di Jimmy la hall riprende nuova vita con i balli popolari e l’ascolto dei 78 giri di jazz provenienti dagli States. Ma ci sono anche le lezioni di cucito, di letteratura, di falegnameria, di boxe e ovviamente l’indottrinamento politico verso le idee socialiste. L’iperattivismo di Jimmy e dei suoi amici non è visto di buon occhio dai latifondisti del luogo e dal clero cattolico. Contro di loro riprendono i boicottaggi che avevano già fatto chiudere il locale dieci anni prima. In particolare si distingue padre Sheridan che con le sue prediche virulente istiga i conservatori verso le attività che si tengono nella sala da ballo. Ben presto arrivano le azioni intimidatorie e infine l’incendio doloso della hall. Nel febbraio del 1933 Gralton viene arrestato su ordine del governo di de Valera e, senza un’accusa specifica né alcun processo, esiliato fino alla fine dei suoi giorni negli Stati Uniti.
E’ il film che ti aspetti da Ken Loach, con i buoni tutti da una parte e i cattivi dall’altra. Fa eccezione, forse, un pretino di nome padre Seamus a cui il regista riconosce il beneficio del dubbio. D’altra parte questo è Ken Loach, un regista decisamente schierato che ha dedicato la maggior parte della sua filmografia a raccontare le condizioni di vita delle  classi meno abbienti, operai e ceto medio, anche quando ha accarezzato il genere commedia come in Il mio amico Eric (2009) e La parte degli angeli (2012). Può non piacere questo suo essere di parte, in ogni caso piace molto alle giurie e al pubblico dei festival che lo gratificano di premi ogni qualvolta vi si affaccia. Come l’Orso d’oro alla carriera al Festival internazionale del cinema di Berlino 2014.
Tornando al film, ho apprezzato la meticolosa scelta delle location, l’accuratezza dei costumi e la determinazione nell’affidarsi escusivamente ad attori irlandesi. Molto efficace Barry Ward (Jimmy). Sceneggiatura tratta da un testo teatrale di Donal O’Keilly. Essenziali, infine, le didascalie storiche iniziali che unitamente alle immagini tratte dai cinegiornali d’epoca aiutano a capire il contesto. Gioverebbe comunque andare a leggersi qualcosa sul trattato Anglo-Irlandese del 1921 che stabiliva la nascita dello Stato Libero d’Irlanda e sui contrasti tra il Presidente de Valera e il patriota Michael Collins, su cui è incentrato il film di Neil Jordan (1996).

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