Ho visto “The Wolf of Wall Street”

Se Martin Scorsese voleva convincerci delle schifezze che si celano dietro le speculazioni di Wall Street, con gli hedge fund e i junk bonds e ogni altra diavoleria truffaldina, c’è riuscito benissimo. Poteva risparmiarci però almeno un’ora di pompini, ammucchiate assortite, masturbazioni collettive, tiraggi di coca e di tutto il campionario connesso alla ricerca di godimenti (?) sfrenati, pasticche comprese.
Jordan Belfort è il campione indiscusso di tutto questo. Dopo i primi approcci come broker a Wall Street, ha messo su dal niente una impresa che sul niente è fondata: pezzi di carta che vengono piazzati dapprima ai poveracci e via via a risparmiatori dal salvadanaio sempre più cospicuo, tutti convinti di fare l’affare della loro vita. E il giovanotto si arricchisce e guadagna e guadagna e fa guadagnare i suoi collaboratori, tutti attratti da un’unica e ben precisa filosofia: togliere soldi dalle tasche della gente e metterli nelle proprie. Jordan si separa dalla prima moglie e sposa Naomi, una bionda da urlo, che naturalmente non gli basta perché continua con i suoi lacchè a ricercare piacere ovunque fino all’autodistruzione. A dargli una forte mano verso la rovina è però l’FBI, attratta dal fenomeno rappresentato dalla sua società in odore di attività finanziarie criminali, qui rappresentata da Patrick Denham, il solito accanito e incorruttibile funzionario.
Per mettere al riparo il suo infinito patrimonio dalle mire del fisco, Jordan organizza, grazie alla zia inglese della moglie, il trasferimento fisico delle sue sostanze in una banca svizzera. Si tratterà se mai di riaverle nel momento in cui la zietta – a cui è stato intestato tutto – decide di defungere. In quel frangente la combriccola si trova su uno yacht in quel di Portofino e per rientrare deve affrontare una tempesta distruttiva ai limiti della comicità demenziale. E non è finita. Scorsese riserva ancora altri – a questo punto sempre più prevedibili e noiosi – eccessi.
Stretto nella morsa dei federali e per evitare la prigione, Jordan accetta infine di collaborare con l’FBI e si lascia applicare addosso un microfono attraverso il quale registrare e far incriminare i suoi compagni. Davvero molto edificante. Jordan trascorrerà comunque un periodo in galera, alquanto leggera, e finirà poi a fare l’imbonitore in Nuova Zelanda, tenendo lezioni sulle strategie di vendita. Un po’ come certi ‘finanzieri’ nostrani di qualche anno fa.
Reginetta del film è la pasticca di ‘quaalude’ (metaqualone), un sedativo ipnotico di cui Jordan e il suo amichetto Donnie (Jonah Hill, il cicciottello di L’arte di vincere e Lo spaventapassere) fanno abbondante uso.
L’interpretazione di Leonardo DiCaprio è davvero sontuosa ed è l’unica cosa che vale il prezzo del biglietto. A ogni film che interpreta è sempre più bravo.
Spiccano inoltre Jean Dujardin nei panni del banchiere svizzero e Matthew McConaughey che interpreta il primo mentore di Jordan, colui che lo inizia alla filosofia del denaro, del sesso e della coca.
Tutto il resto è noia, direbbe qualcuno, un inutile baraccone. Tre ore così sono esageratamente lunghe. Vedremo con gli Oscar e le sue cinque nomination, ma Scorsese questa volta non mi ha per nulla convinto.

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