Ho visto “Mood Indigo – La schiuma dei giorni”

Non si può giudicare questo film senza prima avere un quadro del periodo in cui è stato creato il romanzo da cui è tratto (l’immediato dopoguerra parigino, libro scritto nel 1947, prima edizione italiana nel 1965), ma soprattutto della straordinaria personalità di Boris Vian, scrittore, musicista, inventore, innovatore del linguaggio, poeta. Morì di crepacuore nel 1959 alla prima proiezione di un film tratto da un altro suo romanzo, lo scandaloso Sputerò sulle vostre tombe, di cui non aveva digerito la sceneggiatura. E’ stato autore tra l’altro di una canzone memorabile, la pacifista Il disertore, che tutti i più grandi artisti hanno inciso o almeno una volta cantato. Questo era Boris Vian. Va da sé che il cinema sia sempre stato molto attratto da La schiuma dei giorni, fin dal 1968, con un adattamento interpretato da Jacques Perrin, Marie-France Pisier, Sami Frey. E siamo a oggi, a questa impegnativa produzione francese diretta da Michel Gondry. La distribuzione italiana, sempre timorosa che i titoli originali possano spaventare il pubblico nostrano, ha voluto intitolarlo Mood Indigo, da una delle più celebri canzoni di Duke Ellington, la cui musica, di cui era appassionato Boris Vian (“una delle poche cose per cui vale la pena vivere”), è la colonna sonora portante del film.
Mi sto dilungando, forse per tardare il giudizio su un film tratto da un libro che ho amato. Giudizio che non può essere positivo. A una prima mezzora spumeggiante – anche divertente – in cui Gondry, grazie alle tecnologie cinematografiche di animazione e non, dà vita, nel vero senso della parola, a tutte le mirabolanti invenzioni di Vian, compreso il ‘pianocktail’ (infernale macchina per preparare cocktail pigiando sui tasti di un pianoforte), segue oltre un’ora e mezzo di noia, in cui prevale il profondo pessimismo dello scrittore. La storia d’amore tra Colin e Chloé è dilatata al massimo, dall’incanto dell’inziale incontro alla dolorosa conclusione finale. Sì, ci si annoia e viene voglia di tornare alla pagina scritta, ricca invece di suggestioni, di riflessioni memorabili, di frasi fulminanti. I due innamorati giocano con la malattia di lei – una ‘ninfea’ che si annida in un polmone e cresce cresce come una malapianta – fin quando è possibile. Il ricco bon vivant Colin dà fondo al patrimonio per curarla ed è poi costretto, per la prima volta, a lavorare. Lavori che che si dimostrano grotteschi per la loro inutilità. Intanto al progredire della malattia di Chloé l’avveniristica casa di Colin si trasforma: l’uomo vede restringersi progressivamente gli spazi intorno (cosa registicamente non resa bene), ogni cosa viene avviluppata da vegetali, il colore sbiadisce e sparisce del tutto, il film diventa in bianco e nero. Intanto hanno perso ogni vivacità, avviandosi ad un finale caricaturale per ognuno, tutti i personaggi di contorno: dall’amico Chick fanatico dilapidatore di risorse per collezionare opere di Jean-Sol Partre (J.P. Sartre fu in effetti molto amico di Vian) al maggiordono factotum nero Nicolas, sua cugina Alise innamorata di Chick, la bella Isis una delle tante donne di Nicolas… Rimane il povero topolino di casa che Gondry antropomorfizza ma non per questo riesce a rendere convincente. Nel libro ha tutt’altro spessore.
Lo sfiorire di Chloé è accompagnato bene dall’interpretazione di Audrey Tautou. Per la figura di Colin, Michel Gondry ha scelto invece Romain Duris, appena visto nel recente Tutti pazzi per Rose, in cui recitava nel ruolo del capufficio. Tutto sommato Duris è più convincente come ricco stravagante che come innamorato perso. Delle musiche ho già detto: da Take the A-Train a Caravan a Sophisticated Ladies c’è il meglio del ‘Duca’.
Film impegnativo che richiede una certa resistenza. Meglio prepararsi leggendo il libro.

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