Ho letto “La bionda dagli occhi neri” di Benjamin Black (John Banville)

Il telefono sulla mia scrivania aveva l’aria di chi sa di essere osservato.
Dice Banville nelle sue interviste che quando scrive come Benjamin Black (il suo nom de plume per i romanzi che hanno per protagonista l’anatomopatologo irlandese Quirke – Dove è sempre notte (2006), Un favore personale (2007), Congetture su April (2010), Un giorno d’estate (2011) – peraltro solo in Italia sempre pubblicati con il suo vero nome) scrive al computer e molto più velocemente. Diversamente, per i libri più letterari che necessitano di una maggiore accuratezza preferisce la scrittura a penna (ad esempio l’ultimo, Una educazione amorosa, pubblicato nel 2012). Ma mi riesce difficile pensare che un ‘hard boiled’ classicissimo come questo sia stato scritto come una ‘cheap fiction’ (sono parole sue). Guanda per la prima volta pubblica un suo libro con lo pseudonimo, ma a scanso di equivoci aggiunge fra parentesi il nome John Banville e precisa dopo il titolo che si tratta di Un’indagine di Philip Marlowe. In effetti Raymond Chandler è uno scrittore amatissimo da Banville che per immergersi in maniera corretta in quelle atmosfere da California meridionale ha compiuto un lavoro davvero certosino, tanto che il risultato finale è indistinguibile dagli originali: leggendo, più volte mi sono chiesto se fosse Banville o piuttosto Chandler a far parlare Marlowe. E qualche critico anglosassone si spinge a definirlo ‘ventriloquismo letterario’.
Un vago effluvio del suo profumo attraversò la scrivania. Sembrava Chanel N° 5, ma d’altronde a me tutti i profumi sembrano Chanel N° 5, o almeno così era fino ad allora.
Dunque c’è di mezzo una donna e come sempre il nostro investigatore ombroso e solitario ci casca come un salame. Una splendida ereditiera dal patrimonio incalcolabile (la famiglia produce profumi) ingaggia Marlowe per cercare un amante misteriosamente sparito.
Non importa quanto sei alto, ci sono donne che ti danno l’impressione di essere più basso di loro.
Clare Cavendish si chiama la bionda e Nico Peterson il suo amichetto scomparso, gigolò impenitente e forse anche qualcos’altro. Marlowe ci mette poco a scoprire che l’uomo è morto investito da un’auto e anche frettolosamente cremato dopo essere stato identificato dalla sorella. Ovviamente le cose non stanno così e la vicenda è molto complessa. Clare non la racconta giusta a Marlowe, ma intanto se lo lavora bene con tutte le sue armi perché Clare Cavendish era una di quelle persone che il mondo protegge dalla propria bruttura.
Intanto la frittata è fatta: l’investigatore ha un bell’imporsi di non andare a letto con le sue clienti però non ci riesce mai e questo condiziona le sue indagini. Conflittuale è il suo rapporto con i poliziotti Joe Green e Bernie Ohls che è costretto a coinvolgere, visto che la storia si popola presto di cadaveri.
Avevo esaminato qualche cassetto e aperto e richiuso qualche armadio quando sentii una chiave infilarsi nella serratura della porta d’ingresso. Ebbi le solite reazioni: peli che si rizzano sulla nuca, cuore martellante, palmi delle mani di colpo umidi.
Ecco, gli stereotipi del romanzo ‘hard boiled’ ci sono tutti: whiskey e cocktail sempre disponibili, sigarette, ricchi debosciati o arroganti, trafficanti di ogni cosa da e verso il Messico, belle e disinvolte donne. Banville pare divertirsi molto: dosa alla perfezione gli ingredienti, dissemina humour a piene mani e il risultato è eccezionale. Sembra un vero Marlowe di Chandler e si legge tutto d’un fiato.
Si alzò, si infilò la gonna e tirò su la cerniera sul fianco. Mi piace guardare le donne che si vestono. Certo, non è divertente come quando si svestono.
Bello, bello, bello!
Perché il primo sorso di birra è tanto più buono del secondo?
Philip Marlowe ve lo spiega se avete la bontà di ascoltarlo…

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