“Io e Mr Wilder”, Jonathan Coe e l’ossessione per Billy Wilder

“Fedora, Fedora… Di cosa parla?”… “È la storia di una vecchia star del cinema,” disse. “Una donna di nome Fedora. Sono anni che è sparita dalla circolazione e tutto quello che si sa di lei è che vive su un’isola greca. È una sorta di reclusa, una figura alla Greta Garbo…”
Ho cercato inutilmente Fedora (1978), penultimo film diretto da Billy Wilder, in tutte le piattaforme digitali e nei cataloghi di film. È uno dei pochi film del regista americano che credo di non aver mai visto. Mi avrebbe consentito di completare la comprensione di questo divertente romanzo di Jonathan Coe. In compenso nelle settimane successive alla sua lettura ho rivisitato molti film di Wilder: da La fiamma del peccato (1944) a Buddy Buddy (1981). Alcuni sono capisaldi della mia cultura cinematografica, quei titoli con cui risponderei alla domanda “se dovessi portarti dieci film su un’isola deserta…?”.
L’originalità di questo libro e la grandezza di Coe nell’averlo costruito stanno nell’aver messo insieme personaggi di finzione con altri veramente esistiti e di questi non essersi inventato molto ma aver attinto alla miriade di fonti bibliografiche esistenti. Per farla breve, quando parla Calista Frangopoulou è farina del sacco di Jonathan Coe, quando parla Wilder è come ascoltare la sua viva voce.
Attenzione però: per apprezzare in pieno questa lettura è preferibile essere appassionati di cinema e averne almeno una grossolana infarinatura. Per me è stata un’autentica goduria.
Calista, la protagonista, è una donna londinese di cinquantasette anni (l’origine greca della famiglia è chiara dal cognome) che si congeda dalle due figlie in partenza per proseguire gli studi, una a Sidney e l’altra a Oxford. In quel frangente le sovviene un suo viaggio del 1976 quando, poco più che ventenne, era stata in America per tre settimane. Una sera a Los Angeles, con la sua amica Gill, era capitata per un caso fortuito a cena con Billy Wilder. Del tutto a digiuno di cinema, Calista non sapeva chi fosse e non conosceva i suoi film. Mentre la sua amica se la filava con un ragazzo che aveva conosciuto, Calista era rimasta diligentemente a dialogare con gli ospiti (Wilder era un vecchio conoscente del padre di Gill) mettendo a nudo ingenuità e ignoranza cinematografica, qualità che però dovevano essere piaciute al regista. Tanto è vero che avendo saputo che era di origine greca le aveva proposto un lavoro temporaneo di traduttrice durante la lavorazione di un film a Corfù. Quel film era, appunto, Fedora e aveva come interpreti principali William Holden e Marthe Keller.
Nel giro di pochi giorni ero passata dal ruolo di insegnante di inglese a tempo parziale (molto parziale) a quello di apprezzato membro di una troupe cinematografica, impegnato in un film che veniva realizzato da uno dei più grandi registi di Hollywood.
Quello che doveva essere un lavoro di poche settimane si è poi prolungato per il resto delle riprese, a Monaco di Baviera e in Francia. Occorre dire che Fedora era una produzione finanziata con capitali tedeschi, la sua prima non americana, e con questo lavoro Wilder voleva in qualche modo vendicarsi di Auschwitz che gli aveva portato via madre, patrigno, nonna, mentre lui nel 1934 era riuscito a espatriare.
Dal canto suo Calista, che aveva la passione di scrivere musica, riuscì a trovare una strada professionale per occuparsi di colonne sonore e quello divenne il suo futuro. Fondamentale fu per lei l’incontro con Mr. Diamond, principale sceneggiatore dei film di  Wilder, fin dalla famosa cena di Hollywood: “Mr Diamond e io abbiamo scritto sette film dopo L’appartamento. Sette. Mi piacerebbe che qualcuno mi venisse a dire che è stato uno di questi a cambiargli la vita”. Di Iz Diamond Calista diventa una sorta di segretaria dopo le riprese in Grecia. Il tempo trascorso con lo star system americano le ha consentito di conoscere tanta gente che ritroviamo in queste pagine, attori, registi, fotografi, mentre fondamentale appare l’incontro con un mito delle colonne sonore, Miklós Rózsa, a cui si devono appunto le musiche di Fedora.
Il romanzo cita aneddoti sulla lavorazione del film e inquadra momenti della vita privata di Calista, insomma mescola storia del cinema e invenzione. Particolarmente gustoso è l’episodio del formaggio Brie. E anche quello sul bidet: (Billy Wilder ci ha raccontato una storiella buffa ieri sera a cena. L’ultima volta che girò un film a Parigi, sua moglie gli chiese di comprare un bidet e spedirglielo negli Stati Uniti. Lui invece le inviò un telegramma che diceva: “Impossibile procurare bidet. Suggerisco una verticale nella doccia”.).
Calista Frangopoulou pare lei stessa un personaggio uscito da una pellicola di Wilder o meglio da una sceneggiatura di Iz Diamond. Ed è questo forse il miglior tributo che Jonathan Coe potesse fare al suo regista preferito. Nel suo librino di schizzi e frammenti Disaccordi imperfetti (2015) lo scrittore inglese dichiara la sua ossessione per Wilder e in particolare per il film La vita privata di Sherlock Holmes (1970). Il primo incontro con quel titolo avviene nel 1972, quando Coe ha undici anni. Poi vi si imbatte diverse volte durante l’adolescenza e da semplice curiosità nel corso della sua vita diviene un’ossessione. Del film vuol sapere tutto, ma proprio tutto: approfondisce i temi della colonna sonora di Miklós Rózsa, cerca le pellicole originali e le scene tagliate, le persone che vi avevano lavorato. Infine nel 2004, dopo aver pubblicato un articolo sui Cahiers du Cinéma, prima scopre la comune ossessione con lo scrittore spagnolo Javier Marías, che cita La vita privata di Sherlock Holmes nel suo romanzo Un cuore così bianco, poi riceve una lettera di Billy Wilder, ormai novantaquattrenne e malato, lieto di sapere che per qualcuno quel film è diventato un’ossessione.

Di Jonathan Coe:

Numero undici (2016)
Disaccordi imperfetti (2015)
Expo 58 (2013)
I terribili segreti di Maxwell Sim (2010)
La pioggia prima che cada (2007)
Questa notte mi ha aperto gli occhi (1990)

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