Ho letto “Due amori” di Stefan Zweig

Esistono delle ore vuote e prive di contenuto che nascondono in sé il destino. Sorgono come nere nubi indifferenti che vengono per poi perdersi di nuovo, ma rimangono ostinate e caparbie.
Con l’acuta capacità di osservazione dell’animo e dei comportamenti umani che lo contraddistingue, Stefan Zweig ci racconta due storie d’amore infelice d’inizio Novecento. Era solo ventitreenne lo scrittore austriaco quando nel 1904 pubblicò questi due brevi racconti, ora raccolti in un elegante volumetto di Passigli. L’amore di Erika Ewald narra la passione di una giovane pianista di Vienna per un musicista più affermato, un violinista con il quale per un breve periodo prepara un concerto. L’infatuazione sarebbe anche reciproca, sono i tempi della passione che non coincidono.
Erika non s’accorgeva del pericolo che si nascondeva nella sempre maggiore intimità della loro amicizia
.
I due ragazzi si frequentano a lungo ma quando il violinista, dopo una domenica trascorsa sulle rive del Danubio, la porta a casa sua per vincere l’ultimo baluardo di resistenza, Erika fugge (la sensualità dell’uomo uccideva il suo tenero amore di ragazza e i suoi brividi più puri). Passano mesi e Erika si crogiola nella sua inquietudine e confusione. Finalmente arriva l’occasione di un concerto per incontrare il violinista ormai famoso, mentre la vita di Erika si è ripiegata nell’insegnamento della musica ai bambini. Questa volta la ragazza sarebbe disposta a tutto, ma al termine del concerto vede il suo innamorato salire su una carrozza e partire con una gran dama.
E forse la vita era persino bella, ed era lei che aveva vissuto in modo sbagliato, che era stata buona e fiduciosa, mite e riservata, mentre invece bisognava essere privi di scrupoli, avidi e scaltri come uccelli rapaci che si nutrono di vite estranee.
Che la vita e l’amore siano costruiti su circostanze è fin troppo evidente. Scrive Zweig del secondo racconto, La stella sul bosco, «In questo racconto ho coscientemente illustrato l’idea che la nostra vita sia guidata da correnti più profonde degli avvenimenti esteriori, e che un’intensa magia della vita, accessibile solo alla nostra emozione e non ai nostri sensi, governi i nostri destini, anche quando siamo noi a credere di dirigerli». Aggiungo io che ci vogliono anche le coincidenze e che le coincidenze devono collimare e realizzarsi. Lo comprende bene François, il cameriere del Grand Hotel Riviera dove alloggia la bella contessa polacca Ostrowska. François se ne innamora perdutamente, la serve non come una cliente qualunque ma mettendoci ogni sorta di attenzione. Tuttavia resta una donna irraggiungibile.
E i sogni di uomini come questi sono come una barca priva di remi che vaga senza meta, in una voluttà ondeggiante, su acque silenziose e chiare, finché d’un tratto la prua non va a urtare contro una sponda sconosciuta.
Quando la villeggiatura della contessa volge al termine e si preparano i bagagli, François dilapida stipendio e liquidazione per comprarle dei fiori, nell’estremo tentativo di attirare la sua attenzione. Finirà suicida sui binari proprio sotto il treno che riporta in Polonia la Ostrowska. In quel momento la fine del cameriere collima con la vita della contessa, sul treno fermo in aperta campagna per l’incidente.
Istintivamente leva gli occhi verso l’alto cielo silenzioso e, più in là, verso gli alberi scuri che stormiscono. E sopra a loro brilla una stella solitaria, là, sopra il bosco. Ella sente il suo sguardo come una lacrima scintillante: l’osserva e a un tratto è invasa da una tristezza immensa, come mai l’ha provata, una tristezza piena di ardore e di desiderio come mai c’era stata nella sua vita…

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