Ho letto “Le notti di Reykjavik” di Arnaldur Indriðason

Soltanto una volta aveva partecipato a una gita a Landmannalaugar, ma in quell’occasione si era reso conto di non essere fatto per viaggiare con gente perennemente allegra. Il buonumore poteva essere opprimente.
L’undicesimo romanzo della serie del commissario Erlendur Sveinsson, scritto da Indriðason nel 2012 e appena pubblicato in Italia da Guanda, andrebbe letto cronologicamente come primo della serie, perché ci presenta un giovane poliziotto alle prime armi. Ma se così fosse ci perderemmo tutte le sfumature sul carattere del personaggio che abbiamo accumulato negli anni con la lettura delle sue varie inchieste. Lo scrittore islandese qui ci presenta il futuro commissario nelle vesti di un poliziotto addetto alla sezione traffico stradale e inserito in una pattuglia che fa il turno di notte. Erlendur ha solo ventotto anni, è taciturno con i colleghi e di indole solitaria e si porta dentro il trauma giovanile che ben conosciamo. La scomparsa di un fratellino in una notte di bufera di neve e mai più ritrovato. Da allora tutte le vicende di persone scomparse hanno avuto per lui un interesse morboso che travalica quello del semplice investigatore. Restavano soltanto le domande, nessuna risposta.
In questo libro si imbatte nella storia di un certo Hannibal, un disperato senza tetto, alcolizzato, che alcune volte aveva soccorso durante i suoi pattugliamenti notturni. Ora però lo trova, dopo una segnalazione da parte di alcuni bambini, annegato nelle acque scure di una torbiera.
In mancanza d’indizi, il caso era stato archiviato, e le indagini si erano concluse lì.
Negli stessi giorni della morte di Hannibal era scomparsa una donna. Un matrimonio infelice? Crisi di depressione? Gli investigatori aveva tenuto il fascicolo aperto ma erano propensi a catalogarlo come probabile suicidio in mare.
Nonostante il lavoro alla Stradale non contemplasse indagini su quei casi, Erlendur li studiava più che altro per curiosità. Infatti spulciare gli archivi era diventato parte di quel suo interesse.
Dunque il giovane poliziotto nel suo tempo libero si dà un gran daffare, all’insaputa dei suoi capi ma sempre sul punto di metterli al corrente su quanto riesce a scoprire. Nel caso di Hannibal entra in contatto con il mondo di quei disperati, ne studia le abitudini e i luoghi di ritrovo ma nello stesso tempo cerca di conoscerne la famiglia e ne ripercorrre la travagliata esistenza. Circa la donna, più volte incontra il marito e alcune colleghe di lavoro, gettando la sua rete di domande, sempre senza avere alcun titolo ufficiale per farle.
Poco alla volta le due storie mostrano di avere alcuni punti di contatto. La tenacia di Erlendur, ad un anno di distanza dai fatti, porta alla soluzione dei due casi: Hannibal non era morto per un annegamento accidentale e la donna non si era suicidata.
“Ho esaminato il tuo rapporto su Hannibal e Oddny, e ho visto che hai infranto praticamente tutte le norme del lavoro di polizia”. Il giorno della festa nazionale islandese, Erlendur Sveinsson fa così la conoscenza di Marion Briem, che sarà il suo capo nei romanzi a venire. “Se ti va di continuare a ficcanasare anche in futuro, vieni a trovarmi in ufficio”. Erlendur però è già interessato a una nuova storia, una ragazza scomparsa mentre andava a scuola. Una volta là, si fermò e immaginò di vederla svanire nella pioggia leggerissima.
Ogni volta che leggo un romanzo di Arnaldur Indriðason mi tocca aggiornare la classifica dei suoi libri più belli. Questo occupa uno dei primi posti.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*